“Il carcere è un luogo per poveri, giovani e diseredati. Non tutti i carcerati sono colpevoli. Laddove lo siano devono poter scontare la pena in una maniera dignitosa“. A dichiararlo, Pino Apprendi dell’Osservatorio Antigone.
Che commenta così nei giorni in cui cresce il dibattito sulla vicenda di Alfredo Cospito. L’anarchico condannato al 41bis attende un pronunciamento della Cassazione in merito alla revoca della pena ma, nel frattempo, ha deciso per un serrato sciopero della fame. Una vicenda che ha riacceso i riflettori sulle condizioni dei detenuti nelle carceri.
Al di là del caso specifico, le precarie condizioni in cui versano i detenuti nelle carceri sollevano molti quesiti: dalla scarsa vivibilità, ai problemi di sovraffollamento. A preoccupare, poi, il numero ancora troppo alto dei suicidi negli istituti penitenziari. Storie che spesso non finiscono in prima pagina ma che colpiscono e su cui vale la pena interrogarsi. Come quella di Samuele Bua, 24 anni morto suicida al carcere Pagliarelli di Palermo.
“Ha usato i lacci delle scarpe per impiccarsi e non doveva averli – osserva Apprendi – era un tossicodipendente che si scontrava con la madre, alla quale poi dirà: “mamma mi vado a suicidare”, prima che questa lo denunci ai carabinieri, pensando di salvarlo. E’ una storia che mi ha colpito molto, nonostante siano passati 5 anni, la sento mia. Ritengo che Samuele non abbia ricevuto le dovute attenzioni e che ci siano state delle responsabilità precise. Gli avevano diagnosticato dei problemi psichiatrici, ed era stato messo in isolamento a 10 giorni dal processo, perché non andava d’accordo con il suo compagno di cella, che lui stesso definiva: “sporcaccione”. Volevano riportarlo nella stessa cella e lui si rifiutò. Pochi giorni dopo fu trovato morto. Su questa vicenda irrisolta, i suoi familiari non si rassegnano ed io ritengo che non ci siano state risposte né giudiziarie, né morali“.
Una storia drammatica quello raccontata da Apprendi che rimanda all’annoso problema dell’alto tasso di suicidi presente nelle carceri italiane e soprattutto, in quelle siciliane. Nel 2022 ci sono stati 87 suicidi tra i detenuti e 4 tra gli agenti di polizia penitenziaria.
Apprendi pone l’accento sulla riforma sanitaria, l’istituzione di Rems (strutture sanitarie adibite all’accoglienza di detenuti infermi) e la revisione del protocollo di prevenzione del suicidio, relative al trattamento dei detenuti con problemi psichiatrici, ma anche sull’effettiva integrazione sociale e lavorativa di chi è in carcere o ha già scontato la pena. Un caso esemplare fu il “Vaso di Pandora“, all’Ucciardone, progetto di attività teatrali che coinvolse i detenuti in un ambiente familiare.
Riforma sanitaria, intervento politico nazionale concreto, piano sanitario regionale, ridurre il sovraffollamento delle carceri, la presenza di un garante che si faccia carico dei diritti dei detenuti a livello locale, iniziativa promossa dal Comitato “Esistono i diritti“, queste le esigenze imminenti. Il presidente dell’Osservatorio ricorda quanto sia massiccia la critica da parte delle istituzioni in merito alle condizioni in cui versano i detenuti e, in particolare, alla pratica del suicidio:
“La Corte Europea ha più volte rimproverato le istituzioni carcerarie e la politica, ma l’unica soluzione prevista per ovviare al problema dei suicidi e del sovraffollamento è la costruzione di nuove carceri”. Nettamente contrario a queste soluzioni e d’accordo con il ministro Nordio”. Apprendi sottolinea quanto sia fondamentale attivare programmi che prevedano uno sconto della pena, subordinato all’entità del reato, in strutture differenti che non siano carcerarie.
Reintegrazione e relazione le parole guida. Un esempio eccellente riguarda l’istruzione nelle carceri della città di Palermo: “I detenuti possono frequentare la scuola alberghiera, che permette di avere una qualifica e un inserimento lavorativo“. Ma anche le attività teatrali fatte sia al Pagliarelli, che all’Ucciardone. L’aspetto formativo è importante, osserva il presidente che pone l’accento sulla formazione, ma anche sulla dimensione carceraria: “Un processo di reinserimento civile può avvenire solo attraverso un cambiamento. Se il detenuto vive uno scontro personale solo con l’agente penitenziario, non vede soluzioni. Del resto, il sistema penitenziario deve essere riformato, non può essere abbandonato“.
Conclude così Apprendi: “La vita del carcere è inspiegabile, ai detenuti manca il lavoro. Bisogna intervenire prima, con un piano sanitario penitenziario adatto e non aspettare l’emergenza. Bisogna parlare con chi vive il carcere quotidianamente”.