“Io canto per colmare una solitudine. Una solitudine che il mondo ci impone giorno per giorno”.
E’ con queste parole che, l’artista anglo-catanese, Beercock si racconta a ilSicilia.it.
Sergio Beercock, nato nel nord dell’Inghilterra e cresciuto in Sicilia, non è solo un musicista, ma un performer completo che ha iniziato una nuova fase artistica in cui indaga i mezzi e i confini della voce e del corpo in quanto strumenti.
Sergio, come e quando è nata la tua passione per la musica e come è sfociata e fusa con le altre arti performative?
“La passione nasce dallo stereo di mio padre e dalle ninna-nanne. Poi passo gradualmente da batterista a chitarrista a cantante, scrivo la mia musica (da un lato la voce della Soul Music, dall’altro la violenza del Black Metal, una oscillazione inspiegabile fra mondi diversissimi).
In adolescenza scopro parallelamente il teatro, e comincio subito a seguire il lavoro di varie compagnie e registi, rifiuto le accademie e i provini, faccio bottega alle prove dei maestri che mi scelgo per amore e affinità.
Le mie due anime non sono mai state realmente separate: a teatro mi vedevano come un musicista, e nella musica mi vedevano come un attore. La svolta è stata solo mediatica: abbiamo smesso, insieme al team di comunicazione dell’etichetta discografica, e insieme alle compagnie con cui lavoro, di distinguerle.
Il mercato si confonde, ma bisogna rischiare. E io mi comincio a sentire finalmente accettato per quello che sono e non per quello che mi si chiede di essere”.
Rispetto ad altri tuoi colleghi siciliani, come mai hai deciso di rimanere in Italia e non di trasferirti definitivamente in UK?
“Il mio nido è stato l’entroterra siciliano finora, ma ho vissuto per brevi e lunghi periodi anche in altre città, stimolanti e stupefacenti, come Torino, Bologna e Roma (per dei periodi), e Palermo dove faccio base in questo momento. Ma non escludo nulla, vado dove mi chiama la gioia, perché ho il privilegio raro di non dover scappare da dove mi caccia la fame. Amo il mio mestiere, perché ho lottato per farlo, al di là del luogo”.
Molti dei tuoi brani sono un viaggio spirituale e visivo nel quale l’ascoltatore si lascia trasportare. Quali sono i tre elementi fondamentali della tua musica?
“Non so indicarti tre elementi fondamentali della mia musica, ma il concept attorno al quale ruota il mio linguaggio attuale è Voce Corpo Rito. Tutto quello che faccio ad oggi è suonare il mio corpo e la mia voce in una condizione di dono al/ricezione dal pubblico, come in un rituale liberatorio, condiviso. Armato di mani, petto, voce e loop-station”.
All’alba del 28 agosto ti esibirai nella prima edizione di Opera Festival a Milo, in una location che ben si sposa alla tua arte. Quali visioni e suggestioni ispireranno le tue composizioni agli spettatori alle pendici dell’Etna in una location particolare?
“Questo potrò saperlo soltanto quando farò un lungo respiro, aprirò gli occhi, e avrò intorno a me cento occhi aperti che respirano piano, l’uva pronta a cadere dai rami, il Vulcano più materno e fertile del Mediterraneo, è l’oro ramato e ramificato dell’alba sul viso. Allora darò il primo colpo, e succederà qualcosa. Dal primo colpo succede sempre qualcosa, e se mi emoziono, è sempre qualcosa di importante e di unico e irripetibile”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Il mio ultimo disco “Human Rites” è stato l’innesco di un nuovo linguaggio per me, che ho portato a teatro anche in spettacoli di altre compagnie come colonna sonora dal vivo. Le mie soundtracks Voce e Corpo che ho identificato e accorpato in un tour chiamato il Rito Umano.
Sarò a Ravenna il 30 agosto per “Petra”, un rito teatrale nell’antica lingua dell’entroterra ennese sviluppato insieme a Mauro Lamantia (formidabile attore di teatro e cinema, poeta, e voce ancestrale) e a settembre a Palermo con “Secret Sacret” opera sacra-profana-surreale scritta insieme a Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi.
In autunno, invece, uscirà un libro di saggi e poesie dal titolo “Voce Corpo Rito””.
Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?
“Cantare per me è un rito. E’ per me un onore poter condividere questa danza di voci con voi. Vi aspetto con la gioia di chi attende una festa”.