“Pulcherrima civitas Castriboni”, a buon diritto può iscriversi fra i migliori contributi del filone di ricerca sulle comunità locali e Orazio Cancila, storico di lungo corso le cui ricerche sulla storia economica siciliana costituiscono un punto fermo, che ne è autore può ben essere soddisfatto del suo oneroso lavoro. Si tratta, infatti, di un volume di circa 700 che copre ben sette secoli di storia locale che, confortato da un imponente impianto documentale, segue le vicende di questo importante centro delle Madonie che ha giocato un ruolo non indifferente nella storia siciliana.
Una storia, quella di Castelbuono, che per secoli ha trovato nei Ventimiglia, famiglia feudale di origine ligure che elegge proprio quell’area per farne nel tempo il centro del proprio potere marchionale, il riferimento costante. E’ la storia della crescita di un centro urbano che parte da un primo aggregato, un casale che affonda le origini nella storia normanna, fino a divenire un centro sempre più importante e tale, prima di competere e successivamente di superare villaggi e paesi molto più antichi e importanti. Un processo lento che vede aggiungersi edificio ad edificio, costruzione a costruzione, che disegnano l’ordito urbano di una città e di una comunità industriosa che vive all’ombra del suo signore feudale ma che, ben presto, manifesta sempre più vivaci segni di autonomia e, perfino, di contrapposizione senza, tuttavia arrivare mai alla rottura definitiva.
Cancila, con certosina pazienza, spulciando i documenti disponibili, soffermandosi soprattutto sugli aspetti economici e finanziari, ricostruisce il percorso che porta ben presto all’emergere di un’aristocrazia minore e di segmenti di proto-borghesia che irrobustiscono, dal punto di vista sociale ed economico la comunità locale. Sorprende, infatti, registrare come in questo territorio apparentemente marginale, all’ombra dello splendido e imponente castello dei Ventimiglia, si manifestino segni di un’imprenditoria industriale – le concerie dei baroni Turrisi ne sono esempio – che, pur nelle difficoltà, tenta di affermarsi in un mondo dominato dall’economia agraria. Accanto alla crescita economica non manca la crescita culturale, il borgo divenuto città si arricchisce di evidenze architettoniche, l’edilizia religiosa che vede costruire chiese , come la nuova matrice, ma anche produrre opere d’arte che nobilitano gli stessi edifici sacri. Mentre la famiglia Ventimiglia, a cui i castelbonesi appaiono legati al punto di venirle in qualche occasione in soccorso finanziario, pur non perdendo il tratto arrogante dei signori feudali, avvia la sua parabola discendente emerge sempre più il protagonismo della municipalità, esempio raro in una Sicilia soffocata dal potere feudale.
Castelbuono, pur in presenza di nuovi feudatari, diviene infatti luogo di dibattito pubblico, di sensibilità col nuovo che avanza. Non può sorprendere, dunque, che nel 1860, nei giorni caldi che decideranno le sorti del Regno delle Due Sicilie, sia presente un vivace comitato antiborbonico che prepara la rivoluzione e che, con la fornitura di armi, agevola la spedizione dei Mille in Sicilia. Il protagonismo civico degli anni che seguono l’unità, un protagonismo che mette anche in forse il potere ormai nelle mani di borghesi come i Levante, è sempre più presente. Mentre crescono attività artigianali e apre lo sportello bancario della Cassa di Risparmio e la lotta per la terra diviene tema sempre più attuale, non si fermano le battaglie per la conquista del potere che vedono i resti dell’aristocrazia ormai espulsi dai consessi civici. Interessante è la storia del rapporto fra Castelbuono e il fascismo di cui Alfredo Cucco, valente oculista e docente universitario, personaggio particolarmente amato dalla comunità, è il soggetto più in vista. E’ da dire che il rapporto f…