Il test sierologico rapido con pungidito ha una sensibilità confrontabile con quella del tradizionale test quantitativo basato sul metodo Elisa: lo indica la ricerca pubblicata sulla rivista EBioMedicine (gruppo The Lancet) condotta nel maggio scorso dall’Istituto ‘Mario Negri di Bergamo e coordinata da Giuseppe Remuzzi. I dati indicano inoltre che rilevare solo la positività non è sufficiente e che questo dato deve essere accompagnato da quello relativo alla carica virale, ossia della quantità di particelle di virus rilevate nel campione. Un risultato, osservano, molto importante ai fini del contenimento dell’infezione.
Finanziata da Regione Lombardia, Milano Serravalle, Milano Tangenziali e Brembo, la ricerca è stata condotta utilizzando il test messo a punto dall’azienda svizzera Prima Lab, ha detto il primo autore dello studio, Luca Perico, e i risultati indicano che il test “è sostanzialmente sovrapponibile al test venoso per quanto riguarda sensibilità e specificità. Questo – ha osservato Perico – permette di considerare il test rapido ‘pungidito’ come strumento estremamente efficace e prezioso per identificare nel giro di dieci minuti soggetti che siano venuti a contatto col virus“.
I ricercatori rilevano inoltre che la maggior parte dei soggetti positivi agli anticorpi contro il nuovo coronavirus ha manifestato sintomi nelle prime due settimane di marzo, ma un sottogruppo ha riportato sintomi riconducibili al virus già a inizio febbraio 2020. Non vi sono inoltre differenze significative nella positività tra maschi e femmine, mentre i volontari positivi sono in media più anziani di qualche anno rispetto ai volontari negativi al test.
Del 38,5% di soggetti positivi al test sierologico, solo 23 volontari (che avevano avuto sintomi nelle settimane precedenti il prelievo) sono risultati positivi anche al tampone nasofaringeo, che misura la presenza di materiale genetico di SarsCoV2 nel naso e nella gola.
“L’analisi evidenzia che si tratta di casi con una bassissima carica virale che fa pensare a una capacità infettiva probabilmente nulla”, ha osservato Susanna Tomasoni, capo del Laboratorio di terapia genica e riprogrammazione cellulare dell’Istituto Mario Negri. “I dati da rapportare alla situazione di maggio – prosegue la ricercatrice – suggeriscono che qualificare l’entità della carica virale, piuttosto che riportare solo una positività di per sé, è importante per ottimizzare i criteri di dimissione dei soggetti infetti”.
Per Ariela Benigni, segretario scientifico e coordinatore delle ricerche del ‘Mario Negri’, i risultati di questa ricerca hanno “importanti risvolti per le politiche di contenimento che dovrà mettere in atto il nostro Servizio Sanitario Nazionale nell’eventualità di una seconda ondata di infezione virale”.
La ricerca indica inoltre che “sarebbe opportuno che per ogni tampone positivo venisse quantificata anche la carica virale, in modo da non avere un quadro epidemiologico fuorviante”.
Ideato in maggio, il test è stato pensato per la fase successiva della pandemia e in particolare per le scuole e “i risultati indicano che sensibilità e specificità sono molto simili e molto alte, oltre il 90%”, ha rilevato Benigni. “Un dato, questo, che “fa pensare che questo test sia uno strumento efficace per avere risultati veloci, in 10 minuti”, senza richiedere l’utilizzo di un laboratorio.