“Ci preoccupa la possibilità che l’accreditamento sia aperto anche a enti che possono erogare i servizi di cure palliative in maniera profit. La Samot ha creato questa assistenza in Sicilia, e anche a livello nazionale, con uno spirito che non può essere ridotto a un interesse economico”.
A dirlo è Tania Piccione, responsabile della centrale operativa di Samot Onlus e presidente della Federazione Cure Palliative, commentando il decreto assessoriale n. 588 del 4 giugno 2025, pubblicato dall’assessorato regionale della Salute e finora poco discusso nel dibattito pubblico.
Il provvedimento approva il Piano regionale di potenziamento delle cure palliative 2025/2026, aprendo all’accreditamento anche per enti a scopo di lucro. Una scelta che, secondo Piccione, rischia di compromettere l’equilibrio costruito in decenni di collaborazione tra sistema sanitario pubblico e terzo settore.
“La storia delle cure palliative domiciliari in Sicilia nasce proprio con Samot – ricorda –. Un percorso costruito con fatica, professionalità e una visione valoriale forte. Introdurre una logica concorrenziale tra enti profit e non profit potrebbe vanificare questo patrimonio”.
Il decreto stabilisce che i soggetti erogatori possano essere pubblici, privati accreditati o autorizzati, senza distinguere tra organizzazioni con o senza finalità di lucro. Una norma formalmente legittima, ma che apre scenari critici in un settore dove la componente relazionale ed etica è centrale.
L’allegato tecnico definisce una riforma strutturata su obiettivi ambiziosi:
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copertura del 90% dei pazienti eleggibili entro il 2028;
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8–10 posti letto hospice ogni 100.000 abitanti;
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48 équipe domiciliari operative h24 su 7 giorni (UCPD);
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ambulatori per cure palliative precoci;
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consulenze palliative ospedaliere e sostegno alle RSA;
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sviluppo di una rete pediatrica regionale con 2 centri di riferimento e 10 posti hospice pediatrici.
Una riforma che si allinea al DM 77/2022 e agli obiettivi della legge di bilancio, vincolando la Sicilia anche all’accesso ai fondi statali. Ma Piccione sposta il fuoco sulla questione delle risorse umane e del mandato etico.
“Sulla carta il piano è articolato e condivisibile, ma la vera domanda è: chi lo realizzerà e con quali motivazioni? Gli operatori che oggi garantiscono questo servizio si sono formati dentro il terzo settore e rappresentano la nostra risorsa più preziosa. In un mercato dove prevale la forza economica, questa competenza rischia di essere dispersa”.
“La nostra è un’esperienza guidata da un impegno civico profondo – prosegue -. Siamo andati ovunque, anche nei contesti più fragili, nelle montagne e nelle isole minori. Non lo abbiamo fatto per contratto, ma per missione. C’è una dimensione etica che non può essere rimessa alle logiche del profitto”.
Un’altra criticità riguarda il riconoscimento del valore storico e sociale del terzo settore.
“Abbiamo affiancato il servizio pubblico con competenza, professionalità e continuità. Abbiamo contribuito in modo determinante al raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza. E oggi, improvvisamente, rischiamo di essere messi da parte, senza alcuna garanzia di tutela”, evidenzia.
Il piano regionale include anche l’estensione delle cure ai pazienti non oncologici, il coinvolgimento della medicina generale e la formazione dedicata. Ma, sottolinea Piccione, la dimensione umana resta il fulcro: “Le cure palliative sono nate da un impegno sociale autentico. Si basano su prossimità, ascolto, rispetto della dignità della persona fino alla fine. Se l’erogazione viene affidata a soggetti regolati da logiche economiche, rischiamo di snaturare completamente il senso stesso dell’assistenza. E a quel punto non staremmo più parlando di cure palliative: staremmo parlando solo di prestazioni”.