“Prendersi cura dell’uomo stando con l’uomo e lavorando per l’uomo”. È con queste parole che Antonella Battaglia, direttore dell’UOSD Cure Palliative – Hospice dell’Asp di Ragusa, racconta il senso più profondo delle cure palliative, una branca della medicina spesso mal compresa e ancora troppo poco conosciuta.
“Molto spesso – spiega – si pensa che queste cure siano rivolte solo ai pazienti oncologici, ma in realtà si tratta di un diritto per tutti i pazienti che soffrono. Le cure palliative sono sancite dalla Legge 38 del 2010, che da 15 anni garantisce ai cittadini il diritto ad essere curati nel dolore, a non soffrire, ad essere accompagnati nel percorso della malattia, quando questa non è più guaribile. Ma non per questo non è curabile“.
La Legge 38/2010 rappresenta una pietra miliare nel riconoscimento delle cure palliative e della terapia del dolore come un diritto per ogni cittadino. Garantisce l’accesso gratuito e uniforme a questi servizi su tutto il territorio nazionale, in ospedale, hospice e a domicilio. Promuove anche la formazione degli operatori sanitari e lo sviluppo di reti assistenziali integrate.
“Il concetto chiave è che le cure palliative non si limitano alla fase terminale. Il nostro compito – prosegue – è prenderci cura dei pazienti nei diversi setting assistenziali: l’hospice, certo, ma anche l’ospedale, il domicilio, gli ambulatori. E non solo per i malati oncologici: tutta la cronicità evolutiva va intercettata precocemente, per offrire sollievo dai sintomi e garantire dignità”.
“La parola chiave è precocità. Le più autorevoli società scientifiche concordano sull’importanza di un approccio anticipato, in grado di individuare tempestivamente i bisogni del paziente, anche mentre è ancora sottoposto a terapie attive – sottolinea -. Si stima che l’identificazione del paziente candidato alle cure palliative debba avvenire con un anticipo di circa 12 mesi rispetto alla fase terminale della malattia. Questo conferma che le cure palliative non sono destinate soltanto alla fine della vita. Quelle rappresentano, infatti, le cure terminali. Il vero focus oggi è sul simultaneous care, cioè sull’integrazione precoce delle cure palliative nel percorso terapeutico. È fondamentale dare sollievo al paziente e alla famiglia già dalle prime fasi della presa in carico, offrendo un’assistenza globale che coinvolga non solo la persona malata, ma anche i suoi cari”.
Fondamentale è la visione olistica dell’approccio palliativo, che la direttrice definisce multidisciplinare e multidimensionale.
“Medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali, operatori socio-sanitari e assistenti spirituali lavorano insieme. Ognuno mette a disposizione le proprie competenze per aiutare il paziente – sottolinea –. L’obiettivo non è solo trattare i sintomi fisici, ma offrire anche supporto psicologico, sociale e spirituale. Nessuno deve sentirsi solo. Fondamentale è anche il lavoro in rete. Gli hospice si occupano dei casi più complessi, quando è necessaria un’assistenza continua. Ma i pazienti possono essere seguiti anche a domicilio, grazie ad associazioni convenzionate. Esistono inoltre ambulatori di terapia del dolore e cure palliative. E persino nei reparti per acuti, quando serve, si possono attivare percorsi di assistenza palliativa”.
A tutela della dignità e dell’autodeterminazione dei pazienti, Battaglia richiama anche un’altra legge fondamentale: la n. 219 del 2017.
“Questa legge – chiarisce – introduce due strumenti fondamentali: le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e la Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC). Le DAT permettono al cittadino di esprimere in anticipo le proprie volontà sulle cure. Sono utili nel caso in cui, un giorno, non fosse più in grado di decidere per sé. La Pianificazione Condivisa delle Cure, invece, è un percorso. Coinvolge il paziente, la famiglia e il medico. Insieme costruiscono un’alleanza terapeutica. Da questo lavoro nasce il PAI, il Piano Assistenziale Individualizzato. È un progetto di cura su misura, modellato sui reali bisogni della persona”.
La Legge 219/2017 riguarda, infatti, il consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Stabilisce che ogni cittadino maggiorenne e capace di intendere e volere può redigere un documento, depositato presso il proprio Comune, in cui indica le terapie che accetta o rifiuta nel caso in cui non possa più esprimere il proprio consenso. Introduce anche la Pianificazione Condivisa delle Cure, un processo dialogico tra medico, paziente e familiari per stabilire il percorso assistenziale più rispettoso della volontà e della dignità della persona.
“Cure palliative – conclude Battaglia – significa protezione, custodia. Viene dal latino pallium, il mantello che riparava dal freddo. E come un mantello, la medicina palliativa si prende cura con delicatezza, senza mai abbandonare. Per questo servono campagne di sensibilizzazione, per far conoscere le DAT, la pianificazione delle cure, per prevenire l’accanimento terapeutico e per restituire umanità al fine vita”.