PALERMO – Come dice Mario Incudine ai nostri microfoni prima di andare in scena, il “Liolà” di Luigi Pirandello diventa sul palco del Teatro Biondo di Palermo una “favola buffa“.
Partendo dal testo sopracitato e traendo spunto anche dalla novella “La mosca“, l’ispirazione di Moni Ovadia, Mario Incudine e Paride Benassai porta in scena una storia conosciutissima, alleggerita ed edulcorata dalla musica e da nuovi inserti.
Al di là dell’aspetto scanzonato e apparentemente frivolo, Liolà rappresenta la vita, la quotidianità, l’essenzialità delle piccole cose, non ultimo il piacere.
Liolà, interpretato da Incudine, è un uccello di volo, che teme la gabbia e volteggia da un amore all’altro senza mai posarsi troppo a lungo sopra un singolo ramo. Volteggia e canta continuamente, mirando tutti dall’alto, abbracciando, baciando, amoreggiando, sì, ma scansando scaltro le trappole della restrizione.
Zio Simone, interpretato da Moni Ovadia non proprio credibile nel suo siciliano forzato, caratterizzato dai toni grotteschi e tragicomici, personaggio cinico e senza scrupoli, è il suo contraltare attorno al quale ruota tutta la vicenda dei figli delle due protagoniste, Tuzza (Aurora Cimino) e Mita (Graziana Lo Brutto).
A pennello, sia come idea che come interpretazione di Paride Benassai, calza l’introduzione del personaggio, inedito, di Pauluzzu ‘u fuoddi, un deus ex machina che, con intermezzi ben riusciti, aggiunge, con il disincanto di chi vive apparentemente senza troppe consapevolezze, sostanza all’altalena della vita degli uomini.
Se in alcuni momenti, all’inizio soprattutto e nei passaggi corali dell’intero cast, risultano incomprensibili all’ascolto le parole cantate in un dialetto serratissimo, nell’evoluzione dello spettacolo, nelle parti dialogate, è più facile comprendere e apprezzare la “nuova riscrittura” che è piaciuta al pubblico.
Delicata e intensa l’interpretazione di Rori Quattrocchi, Zà Ninfa, brava anche Stefania Blandeburgo nel ruolo di Zà Croce; sul palco anche Chiara Seminara, gli apprezzatissimi musicisti Antonio Vasta (fisarmonica), Antonio Putzu (fiati), Manfredi Tumminello (corde) e il coro di contadini e popolani interpretato dagli attori e danzatori del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello: Noa Blasini, Chiara Bologna, Elvira Maria Camarrone, Valentina Corrao, Francesco Di Giuseppe, Bruno Carlo Di Vita, Mattia Carlo Di Vita, Noa Flandina, Alessandra Ponente, Alessia Quattrocchi, Rita Tolomeo, Pietro Tutone, Fabio Ustica.
I costumi, avveniristici e ben studiati, sono di Elisa Savi; luci di Franco Buzzanca, i movimenti scenici e le coreografie di Dario La Ferla; direzione musicale di Antonio Vasta.