A volte, nella vita, quello che non c’è stato è il signore più coccolato che ci possa essere. Assume la forma rotonda del rimpianto, o quella austera e slanciata del sogno costante, del bello potenziale, del “sarebbe stata un’altra cosa”.
E’ il corsivo della vita. Da non confondere col corrivo, che scorre, e a volte, macina e distrugge.
A volte, quello che non c’è stato, nella vita, diventa realtà. È un’algebra poco leggibile, ma che mantiene un fascino immutato. Erano in cinque il giorno che nacque #diventerabellissima: Nello Musumeci, Raffaele Stancanelli, Gino Ioppolo, Alessandro Aricò e Ruggero Razza.
Il tempo di avvicinamento al sogno, che appariva improbabile da ricercare e protervo da inseguire c’era tutto: «Ma che perché ti sei fissato, è un’ossessione che ti distruggerà, puoi fare il sindaco di Catania quando vuoi, nessuno ti può stare dietro». Musumeci chiude gli occhi lentamente e agli altri quattro nasconde il contenuto di questa breve, ma significativa interlocuzione di giornata.
Niente passo di lato. Decide. Se deve essere sarà l’ultima volta, ma lo dovranno dire i Siciliani. Ricorda quel sindaco eletto in un paese delle Madonie, che dopo una vita passata a fare il missino (iscritto al Msi, ndr.), fu eletto in una lista civica e smentì lo stesso Gianfranco Fini che nel 1993, quando ancora doveva nascere Alleanza Nazionale, al Tg delle 20 lo aveva frettolosamente riammesso nel perimetro dei ‘camerati’ di sempre.
Già, lo stesso Fini, che incrociò in un paio di occasioni il destino di Musumeci, quando gli chiuse di fatto la prima volta la strada a Palazzo d’Orleans (2001) e quando fu lo stesso Musumeci a batterlo alle elezioni europee, prendendo più voti di lui (Fini ci rimase molto mal nel 1999). Cinque anni dopo, l’europarlarlamentare catanese si fa più attento e lo lascia vincere. Con un permaloso così non si sa mai.
#Diventerabellissima, dicevamo, è il movimento che deve piacere ai Siciliani. L’operazione è trasversale e necessaria al tempo stesso. Renzi da Roma manda avanti i renziani nei territori della penisola, il berlusconismo è in crisi (ma non troppo), Salvini e Meloni sembrano il nuovo che avanza. A oltranza. Non è più tempo di aspettare, pensa a quel punto Musumeci. Non è più tempo di dare fiducia a nessuno.
Quando in pieno agosto Miccichè continua a mandare avanti la melina che non regge più, Musumeci alza l’asticella: «il tema non è se io sono candidato, ma chi fa l’accordo e viene con me».
L’anima civica è andata oltre. La riconoscibilità agli occhi dei Siciliani è un volo rapido che decolla veloce.
Il giorno che Pietro Grasso comunica che non sarà della partita nel centrosinistra, è quello in cui Musumeci comincia a diventare presidente della Regione. L’anima laica, dopo quella civica, rimane in piedi. Un partito Musumeci lo ha sempre avuto. Non gliene serve un altro. Glielo tolse davanti lo stesso Fini di prima, nel 2008, quando cancellò con un colpo di spugna An (e col plauso di quasi tutti), confluendo nel Pdl.
Tre consonanti senza nemmeno la fiamma.
Il resto è storia recente, con Falcone, Savona e Pogliese chiamati all’improvvisa fuga in avanti per togliere Miccichè dall’imbarazzo del passo indietro e lasciargli l’onore delle armi di una resa concordata sul nome di Musumeci a Palazzo d’Orleans.
Domenica 17 dicembre a Mondello, dalle 10 del mattino si celebra il primo congresso di #diventerabellissima e sarà eletto il coordinatore regionale del movimento che alle Politiche correrà nel centrodestra.
I Siciliani aspettano con la fiducia a tempo concessa dagli stanchi e dai disperati e confidano nel fatto che la speranza non diventi l’ennesima impostura da maledire, a sogni infranti, e a disillusione avvenuta. Se avverrà, se #diventerabellissima si vedrà. Quel che è certo che oggi è presentissima.