“Ho trovato a casa dei foglietti del mio ex marito con i numeri dei cellulari e dell’ufficio dei pm, all’epoca in servizio a Caltanissetta, Nino Di Matteo, Anna Maria Palma, Carmelo Petralia e Gianni Tinebra. A volte si chiudeva in stanza per parlare con loro al telefono”. Lo ha rivelato la moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, Rosalia Basile, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. La teste ha consegnato i biglietti.
La donna, citata a deporre al processo in corso a Caltanissetta a carico di tre funzionari di polizia Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di aver creato a tavolino pentiti come Scarantino, costringendoli a mentire sulla ricostruzione dell’attentato, non ha mai rivelato prima dei rapporti telefonici tra il marito e i magistrati. A minacciare e fare pressioni su Scarantino, costretto a imparare a memoria il “copione” con le accuse da raccontare, sarebbe stato il pool investigativo che indagava sulle stragi guidato dall’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, nel frattempo morto.
Il pm Nino Di Matteo a proposito delle parole della moglie di Scarantino, replica così: “Spontaneamente, io per primo, all’udienza del processo Borsellino Quater, smentendo Scarantino, che aveva detto che non mi aveva mai telefonato, ho raccontato che qualcuno gli aveva dato a mia insaputa il mio numero di cellulare perché una volta mi aveva telefonato e un’ altra mi aveva lasciato otto messaggi in segreteria telefonica. Non c’è alcuna novità – ha aggiunto Di Matteo – come si evince rileggendo le pagine 39 e 40 della trascrizione della mia deposizione in udienza nel Borsellino quater”.
Rosalia Basile, moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio, rispondendo alle domande dei legali che le chiedevano come mai non avesse rivelato prima che il marito aveva i numeri di telefono dei pm di Caltanissetta e che aveva con loro contatti telefonici. “Avevo rimosso tutto, ora sto ricordando”, ha detto. La donna ha consegnato al tribunale pagine di una agendina tascabile su cui lei stessa aveva trascritto i numeri dei magistrati copiandoli da appunti del marito. “Dovevo rimettere a posto i pezzi del puzzle, devo lavorare su me stessa anche per ridare giustizia a chi la merita”.
Botte, minacce, aggressioni fisiche e psicologiche, verbali con accuse false fatte imparare a memoria. La teste ha raccontato che il marito venne imbeccato dai poliziotti guidati da Arnaldo La Barbera, perché mentisse sull’attentato e desse la versione di comodo che loro avevano imbastito. La donna ha indicato nei poliziotti Ribaudo e Mattei, imputati al dibattimento in corso, di aver preparato il marito perché rendesse la deposizione che a loro faceva comodo facendogli imparare a memoria una sorta di parte. E in Bo, l’altro funzionario sotto processo, l’autore di una aggressione subita dal marito dopo la sua prima ritrattazione.
La teste ha anche sostenuto che su input dell’ex pm Anna Palma, il marito era stato convinto a rivolgersi al tribunale dei minori per farle togliere i bambini se avesse deciso di lasciarlo.
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