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Depistaggio Borsellino: il silenzio dei poliziotti e le anomalie su Scarantino

giovedì 11 Giugno 2020
Paolo Borsellino, depistaggio, via d'Amelio

“Le indagini (..), pur avendo imposto a quest’ufficio un considerevole dispendio di energie ai fini di soddisfare il canone della completezza, non hanno consentito di individuare alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino. Lo scrivono i pm di Messina nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia.

Palma-Tinebra-Petralia
Palma-Tinebra-Petralia

Per gli stessi fatti e per la stessa accusa – calunnia aggravata – a Caltanissetta è in corso un processo contro tre dei poliziotti che condussero le indagini e che, costruendo a tavolino tre falsi pentiti, avrebbero inquinato la ricostruzione dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta.

“Indubbiamente, – aggiunge la Procura di Messina senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, di tale falsità non vi sarebbe stata alcuna certezza; tale dato deve fare riflettere su un sistema processuale che, in ben tre gradi di giudizio, non è riuscito a svelare tale realtà. Tuttavia, questa valutazione esula dai compiti di questa Procura della Repubblica, così come ogni valutazione concernente profili diversi da quello penale, per gli indagati e per i magistrati comunque coinvolti nella vicenda processuale”.

“SILENZIO DEI POLIZIOTTI”

“Le indagini in questione, svolte, si ribadisce, a distanza di oltre 27 anni dalla strage, hanno ricostruito il contesto nel quale è maturata la ‘collaborazione con la giustizia’ di Scarantino e le anomalie tecnico giuridiche e valutative che hanno caratterizzato quella gestione, in termini di uso dei colloqui investigativi, di contatti informali con il collaboratore ed i suoi familiari”.

Mario Bo
Mario Bo [Frame: TGR Sicilia]
I magistrati di Messina sottolineano più volte le “anomalie” dell’indagine sull’attentato che ha portato alla condanna all’ergastolo, per l’attentato al giudice Borsellino, di 7 innocenti.

Per i pm “il silenzio, ineccepibile in punto di diritto del quale si sono avvalsi” i tre poliziotti sotto processo per il depistaggio a Caltanissetta, Bo, Mattei e Ribaudo, che come i due pm rispondono di calunnia aggravata,non ha consentito di comprendere quale effettivo ruolo hanno svolto il dottor Giovanni Tinebra – a quell’epoca Procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta – ed i suoi sostituti nella gestione di Scarantino, né quale direzione effettiva essi hanno avuto delle indagini. Senza dire che la scomparsa di Tinebra e La Barbera ha impedito, oggettivamente, di acquisire le conoscenze che gli stessi direttamente avevano o potevano avere dei fatti”.

“TROPPO TEMPO TRASCORSO”

“Le indagini si collocano a distanza di oltre 27 anni dalla strage e scontano dei limiti strutturali difficilmente superabili“. Palma e Petralia, secondo una prima ipotesi accusatoria, avrebbero avuto un ruolo nell’inquinamento delle indagini.

I magistrati messinesi coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia, che in due anni di indagini hanno interrogato veri e falsi pentiti e tutti i protagonisti delle vicende dell’epoca – poliziotti, avvocati e magistrati – sottolineano “il venir meno, nel tempo, di fonti di prova rilevanti (è il caso – scrivono – dei sopravvenuti decessi del dott. Tinebra e del dott. Arnaldo La Barbera, i quali hanno certamente avuto un ruolo importante nella vicenda)”.

Il riferimento è all’ex procuratore di Caltanissetta e all’ex capo della Mobile di Palermo che coordinava il gruppo investigativo che svolse gli accertamenti sull’attentato al giudice Borsellino. A incidere sull’esito dell’inchiesta di Messina anche “l’usura delle fonti dichiarative – sentite più volte in questo lasso di tempo e con risultati che hanno i caratteri della contraddittorietà, non conseguenzialità logico temporale”.

“Inoltre, va ancora ribadito che le attuali indagini hanno avuto un perimetro ben delimitato: sono state finalizzate esclusivamente a verificare l’esistenza di profili di rilevanza penale a carico dei magistrati che si occuparono della gestione di quei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni furono utilizzate nell’ambito dei procedimenti scaturiti dalla strage di via D’Amelio”.

Vincenzo Scarantino

“SCARANTINO INATTENDIBILE”

“La principale fonte dichiarativa sulla strage di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino, ha continuato, nel corso degli anni, a contraddirsi rendendo, di fatto ed in diritto, del tutto inutilizzabili le sue dichiarazioni, le quali, comunque, non hanno mai assunto un accettabile grado di concretezza in ordine a possibili contatti delittuosi tra lo stesso e magistrati della Procura di Caltanissetta. Scarantino ha mantenuto tale atteggiamento ondivago anche nel corso dell’interrogatorio reso innanzi a questo ufficio, arrivando a negare circostanze e fatti che, invece, aveva riferito in precedenti contesti giudiziari”, aggiungono.

A titolo di esempio i pm citano la vicenda dei verbali degli interrogatori con gli appunti scritti a mano che avrebbero dovuto “guidare” il falso pentito nella versione da dare sull’attentato al giudice Borsellino. Sulla provenienza dei verbali Scarantino, a differenza di quanto detto in passato, non ha saputo dire alla procura di Messina, se all’ispettore Mattei, che materialmente glieli consegnò e che ora è sotto processo a Caltanissetta, li avesse dati l’ex pm Palma.

“Mattei non ricordo se i verbali li avesse già, o se glieli diede qualcuno. Il mio è un ricordo lontano. – ha detto il falso pentito ai pm messinesi – Quello che ho dichiarato nel corso del dibattimento in relazione alla Palma non ricordo oggi se è vero. Non ricordo se Mattei avesse già i verbali o se gli furono dati da qualcuno… non mi sono inventato nulla, però non posso escludere di aver fatto confusione”.

Sempre interrogato dai pm messinesi, contraddicendosi nuovamente, Scarantino ha negato di aver ricevuto dall’ex pm Palma le foto della villa, in cui a suo dire si sarebbe svolto il summit deliberativo della strage perché arrivasse preparato poi alla deposizione e di aver subito pressioni dalla procura.

IL PENTITO MANNOIA: “SCARANTINO NON ERA UN MAFIOSO”

Decine di testimoni ascoltati, l’esame delle bobine con intercettazioni di telefonate sepolte negli archivi, indagini e pure l’interrogatorio di un pentito storico come Francesco Marino Mannoia: sono stati alla base degli accertamenti della procura di Messina che ha tentato di capire se gli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia abbiano avuto un ruolo nel depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

Un’inchiesta che arriva a 28 anni dall’attentato al giudice Borsellino e che si è conclusa con una richiesta di archiviazione per i due magistrati in cui si sottolineano però le tante anomalie dell’indagine sull’eccidio e sulla gestione dei collaboratori di giustizia e l’evidenza, già all’epoca, dell’ inattendibilità di quello che fu ritenuto il superteste, Vincenzo Scarantino.

Circostanze indicate nella richiesta di archiviazione che non consentono però alla Procura di concludere per un ruolo dei due pm nell’inquinamento delle indagini. I pm messinesi sono anche tornati a sentire lo storico pentito Mannoia su un confronto, del tutto inedito a cui fu sottoposto dalla Procura di Caltanissetta con Scarantino nel 1995. Già allora Mannoia aveva concluso, e riferito agli inquirenti, rafforzando quanto detto da altri collaboratori, che il “picciotto della Guadagna” non era un mafioso. Conclusione che Mannoia ha ripetuto ai pm messinesi.

fiammettaFIAMMETTA BORSELLINO SENTITA SUI COLLOQUI CON GRAVIANO

Tra i testi sentiti dai pm di Messina nell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio c’è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato il 19 luglio del 1992 insieme agli agenti della scorta. Fiammetta Borsellino, che da anni combatte una battaglia per arrivare alla verità sulla morte del padre, ha raccontato ai magistrati del suo incontro in carcere con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio condannati per l’attentato.

La figlia del magistrato, che due anni fa ebbe il permesso di andare a colloquio coi due padrini stragisti, definisce l’incontro “un percorso personale”, ma non nasconde di aver sperato che da quel colloquio arrivasse un contributo alla verità pur nella consapevolezza che sarebbe stato molto difficile vista la caratura criminale dei due boss.
Fiammetta Borsellino racconta dei tentativi di Graviano di discolparsi, tentativi “grotteschi“, dice ai pm. E riferisce di aver replicato al boss Giuseppe, che l’aveva accolta in vestaglia: “ah, vedi che c’è, sono fortunata, oggi sono davanti a un Santo che è qui a scontare una pena non si sa perché…”.

i fratelli GravianoGraviano avrebbe tentato di addossare la colpa del depistaggio delle indagini ai magistrati. “L’unica cosa che mi sono limitata a dire è che spostare la responsabilità su altri non serviva ad eludere le sue di responsabilità, soltanto questo”, ha raccontato ai pm.

Diverso sarebbe stato invece il tono del colloquio con Filippo Graviano che si sarebbe presentato “in uno stato di dolore e prostrazione visibile”. “Una persona – ha detto Fiammetta Borsellino – che non aveva imparato la lezioncina a memoria, cioè, lì c’è stato spazio per parlare di dolore, di insicurezze, del fatto che lui, appunto, non rinnegava quello che aveva fatto”.

 

 

 

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