Il detenuto morto sabato sera nel carcere Ucciardone era “cardiopatico, diabetico, con gravi problemi respiratori e per questo ricorreva all’ossigenoterapia. Era assistito da un ‘piantone’ e quando ha avuto la crisi cardiaca è stato seguito dal medico e da due infermieri. Può una persona con queste patologie non scontare la pena in maniera alternativa?“. Lo dice Pino Apprendi, garante dei detenuti di Palermo, che dopo la morte per un arresto cardiaco di un detenuto nell’ottava sezione dell’istituto penitenziario e la protesta, scattata poco dopo (i due eventi non sono collegati) nella nona sezione dello stesso carcere, ha voluto incontrare alcuni detenuti per “capire le motivazioni che li avevano spinti a tale decisione“.
“Ho avuto modo di ricevere le necessarie informazioni dal direttore sanitario, Gaetano Anello, in presenza del direttore del carcere Fabio Prestopino“, dice Apprendi, sottolineando che nella nona sezione “si trovano persone rinchiuse con l’articolo 32 o con il 14 bis che prevedono l’isolamento a tempo che difficilmente si esaurisce, proprio perché le condizioni sono disumane e la protesta è dietro l’angolo. E ci sono anche persone con gravi problemi psichiatrici“.
Il garante aggiunge: “Due detenuti in poco più di dieci metri quadrati, senza potere fare alcuna attività che tenda a un possibile ravvedimento e conseguente reinserimento nella società. Due ore per passeggiare al mattino e due ore al pomeriggio, che spesso diventano un’ora e mezza per la mancanza di personale“.
“Passeggiare per modo di dire – sottolinea Apprendi –, ci sono fino a 18 persone in circa 30 metri quadrati, con un gabinetto alla turca, senz’acqua e circondati da rifiuti, bottiglie di plastica, sterpaglie ed escrementi vari. Chi salta la doccia al mattino non può farla il pomeriggio, perché doccia e passeggiata sono in contemporanea. Poi si aggiungono episodi che scatenano rabbia, come quello di avere comunicato che sabato pomeriggio i detenuti non sarebbero usciti dalla cella per telefonare, Oppure l’episodio di mercoledì, quando i parenti, locali o provenienti da Catania e Siracusa, sono stati rimandati a casa senza fare il colloquio e senza consegnare il cibo che avevano portato“.