Il 7,3% della popolazione siciliana risulta essere affetta da diabete mellito, con una prevalenza superiore alla media nazionale così come quella dell’obesità infantile. Il numero fa impressione: più di 362 mila persone. Il numero assoluto, non in proporzione, è inferiore solo a quello della regione Lombardia, che conta una popolazione doppia a quella siciliana, ma ciò che preoccupa di più è che il 55% dei pazienti con diabete non pratica nessuno sport o attività fisica e, secondi solo alla Calabria che ha un numero di abitanti 2 volte e mezzo inferiore, la popolazione oltre i 65 anni ha una prevalenza di diabete superiore al 23%. Il tasso di mortalità è superiore alla media italiana e secondo solo alla Campania.
Un altro dato sconcerta: se il tasso di mortalità delle donne si è per fortuna abbassato nel tempo, quello degli uomini è in netto incremento. Insomma, il diabete rappresenta una cronicità che non può e non deve essere dimenticata anche in epoca pandemica perché rappresenta di per se un problema con un elevato impatto sull’intero sistema sanitario regionale. Potrebbe diventare ancora più evidente tra non molto proprio perché il COVID-19 ha oscurato tutto il resto. La malattie e le sue complicanze purtroppo non si fermano come si è fermato tutto intorno a noi.
Per quanto riguarda il tasso di ospedalizzazione è inferiore a quello italiano ma non quello relativo alle amputazioni. L’amputazione di un arto non solo è un fatto che mortifica la persona, ma le amputazioni, che nel loro complesso avvengono con una frequenza superiore a quella italiana, sono la punta dell’iceberg di un Sistema Sanitario non in grado di rispondere al bisogno di salute della popolazione diabetica. Se guardiamo ai costi per la cura del diabete solo una piccola percentuale è da riferire alla cura del diabete per se.
La figura evidenzia che la maggior parte dei costi è relativo alle ospedalizzazioni: non è forse la dimostrazione che il percorso di cura pensato fino ad oggi non funziona? Continuiamo a pensare che i costi più importanti siano quelli dei farmaci e nonostante siano disponibili per il diabete terapie innovative che risparmiano eventi cardiovascolari, amputazioni e relative ospedalizzazioni, il sistema fa di tutto per frenarne la diffusione.
Anche la comunità specialistica diabetologica deve interrogarsi sul perché ancora oggi si prescrivano vecchi farmaci e non le terapie innovative che superano la semplice logica glicemologica facendo guadagnare qualità di vita e riduzione dei costi a medio-lungo termine.
Attorno al paziente con il diabete si deve ripensare un percorso di cura personalizzato che preveda una forte interazione ospedale-territorio con obiettivi chiari e centrati sul paziente. Bisogna prendersi carico dei bisogni assistenziali evitando il ricorso al pronto soccorso e promuovendo valutazioni ospedaliere dei pazienti complessi e ricoveri programmati con un territorio perfettamente integrato tra servizi territoriali e tra territorio e ospedale.
Si rimane in attesa di risposte che non arrivano ma auspichiamo in molti un confronto multidisciplinare, un’adeguata discussione anche con gli organi di governo e adeguati percorsi formativi almeno da parte delle società scientifiche che hanno a cuore i veri interessi del paziente.