*Un caso di governance alla rovescia
I sistemi di valutazione sono tutti concordi nell’assegnare all’Italia la maglia nera in Europa quanto a dispersione scolastica e alla Sicilia il peggiore risultato regionale; Palermo ha poi i peggiori numeri tra le varie province. I “neet”, giovani che né studiano né lavorano (con le ovvie conseguenze del caso) rappresentano la fase successiva della dispersione scolastica, segni entrambi di una diaspora da ogni responsabilità sociale per una percentuale di cittadini, che a Palermo e in Sicilia si avvicina alla metà della popolazione giovanile.
Per paradosso a Palermo, da più di trent’anni, c’é un gruppo significativo di docenti con vaghe connotazioni psicopedagogiche, distaccati da scuola per lavorare sulla prevenzione e sulla lotta alla dispersione scolastica. Un fallimento di cui, pervicacemente, la classe dirigente non ha mai voluto prendere atto, tanto da arrivare al punto che spesso i ministri dell’Istruzione quando vengono in Sicilia sono ricevuti non dai dirigenti degli Uffici del MIUR, ma dal coordinatore di questo gruppo, tanto osannato dai più quanto inutile, se non dannoso, per la tragica evidenza dei numeri.
Sul fenomeno in generale, non tutto da attribuire alle responsabilità della Scuola, ma anche alle altre agenzie educative, famiglia in primis, quali le reazioni?
In un paese normale, per una elementare legge di governance dei sistemi pubblici, i protagonisti , che rappresentano i vari soggetti con responsabilità convergenti sulla dispersione, prima scolastica e poi sociale, si sarebbero riuniti e, in corrispondenza della lettura periodica dei dati rilevati dalle agenzie italiane e internazionali, avrebbero modificato il modello di lavoro, le professionalità in campo e, infine, sostituito i personaggi incapaci di dare sostanza e risultati all’impegno e alle risorse profuse.
Questo, appunto, in un paese normale. Da noi, invece, il progetto è rimasto lo stesso, il coordinatore e gli insegnanti comandati sulla dispersione pure, invecchiati di oltre trent’anni, inefficaci all’inizio e sempre più, man mano che il tempo passava. Intanto, però, un incarico, che doveva essere temporaneo è diventato sempre più stabile, una posizione da difendere, che, nel tempo, si è costruita relazioni e appoggi con la classe politica e dirigente, con i giudici dei minori, con i sindacati, tanto da integrare una categoria a parte di professionisti, rispettati perché consapevoli, più di ogni altro, di ogni risvolto di quel fenomeno che non hanno potuto, saputo (o voluto ?) combattere.
Una delle tante aree di privilegio di un paese sempre più alla deriva. In questo caso, del privilegio di essere “più insegnanti degli altri”, di non doversi stressare nel faticoso impegno frontale con alunni sempre più problematici e con rigidi orari di cattedra e, per ulteriore paradosso, di quello di essere chiamati di frequente, per competenza, a presentare e a sviscerare il fenomeno della dispersione in una miriade di seminari, convegni, incontri.
Inutile sperare che questa esperienza fallimentare venga finalmente conclusa. Tanti i difensori: i sindacati perché il progetto fa organico aggiuntivo, ovviamente inutile e dannoso, ma conveniente per aumentare surrettiziamente posti e cattedre; i neuropsichiatri delle ASP, i giudici dei minori, i servizi sociali e via dicendo per simpatie interpersonali, consolidate da tante esperienze in comune. E la dispersione ? E i ragazzi che si perdono ?
Il teorema dell’abbandono della nostra terra da parte dei nostri giovani migliori, a fronte di quelli in difficoltà, che non hanno dove andare e appesantiscono il disastro, trova ancora una volta amara conferma.
Ovviamente, inutile sperare in una classe politica, inadeguata, e preoccupata soltanto di mantenere privilegi e rendite di posizione sempre più in pericolo. Un inquilino di uno dei palazzi in predicato di diminuire le proprie poltrone, richiesto di un parere sulla questione, ha risposto più o meno così “Ci sono tanti problemi, non ci si può occupare di tutto, dobbiamo prima vedere se riusciremo a restare noi”.
Fa rabbia, ma mettere al primo posto la sopravvivenza della “poltrona” sulla base di una pretesa, preconcetta e infondata superiorità, richiama una volta di troppo la rassegnazione del Principe di Salina: “Noi siamo dei”, e, si sa, gli Dei, nella loro perversa perfezione, non cambiano mai.