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I provvedimenti

Droga ed estorsioni nel Catanese, ordinanza per 14 del clan Scalisi

mercoledì 24 Settembre 2025
Colpo della polizia al clan Scalisi, cosca storicamente radicata ad Adrano nel Catanese, che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 indagati. Il provvedimento ipotizza a vari titolo i reati di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione e detenzione abusiva di armi, ricettazione, danneggiamento a seguito di incendio, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, reati aggravati dall’essere stati commessi al fine di agevolare il sodalizio mafioso. L’ordinanza è stata eseguita da a della squadra mobile di Catania e del commissariato di Adrano coordinati dallo Sco con la collaborazione della polizia di Napoli, Caserta, Taranto, Nuoro, Sassari, Udine, Pavia, Siracusa, Chieti e Caltagirone.
I provvedimenti si aggiungono ai fermi disposti dalla Procura di Catania ed eseguiti dalla polizia nei giorni scorsi nei confronti di 10 indagati dello stesso clan nei cui confronti il gip, dopo l’udienza di convalida, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Le indagini, complessivamente, riguardano oltre trenta persone. I dettagli dell’operazione saranno resi noti durante una conferenza stampa che si terrà nella sala riunioni della Procura alle 10.30.
Complessivamente sono 24 gli indagati destinatari di due ordinanze di custodia cautelare in carcere, dieci dei quali sono frutto della convalida di un fermo eseguito la scorsa settimana. Le indagini, svolte da ottobre 2023 a settembre 2025 hanno fatto luce su estorsioni consolidate nel tempo nei confronti di imprenditori edili e agricoli, commercianti, proprietari terrieri e venditori ambulanti, nonché intimidazioni consistenti nell’incendio di veicoli. Nel corso delle attività è stato sequestrato oltre un chilogrammo di stupefacente, tra cocaina e marijuana e tre pistole. Tra gli indagati anche alcuni detenuti che comunicavano dal carcere utilizzando telefoni cellulari detenuti illecitamente.
Per l’esecuzione dei provvedimenti sono stati impiegati oltre 150 operatori appartenenti alle Questure di Catania, Napoli, Caserta, Nuoro, Sassari, Pavia, Siracusa, Udine, Taranto e Chieti, i Reparti Prevenzione Crimine di Catania, Palermo e Siderno, le unità cinofile della Polizia di Catania, Palermo, Napoli e Ancona ed un elicottero del Reparto Volo di Palermo.
Oltre ai provvedimenti restrittivi sono state eseguite in contemporanea anche perquisizioni ad Adrano, Catania, nonché a Chieti e Pescara, con la collaborazione delle locali Squadre Mobili.
Squadra Mobile Catania

Le azioni di ricerca hanno portato all’arresto in flagranza, nella notte del 16 settembre scorso, di due dei soggetti già attinti da provvedimento di fermo. In particolare, nelle pertinenze dell’abitazione del reggente del clan Scalisi sono stati trovati circa 550 grammi di cocaina, suddivisi in dosi, insieme a del materiale per la pesatura e per il confezionamento; nell’appartamento di un altro soggetto un revolver privo di matricola e mai denunciato. Le indagini hanno evidenziato come all’interno delle carceri i detenuti utilizzino abusivamente, ma continuativamente, utenze telefoniche non solo per mantenere rapporti con i sodali ma anche per pianificare e organizzare nuove attività delittuose.

Io devo acchiappare a tutti in un colpo…”, vado dove giocano al calcetto, “una motocicletta e bum bum li levo”. Parlava così Pietro Lucifora, boss reggente del clan Scalisi di Adrano, legato alla ‘famiglia’ Laudani di Catania, con la sua convivente, spiegando il suo piano di vendetta contro tutti i presunti autori della morte di suo figlio Nicolò Alfio, ucciso a coltellate durante un rissa il 20 aprile del 2025 a Froncofonte, nel Siracusano.
Il passaggio è ripreso dal gip di Catania, Simona Ragazzi, nelle oltre 520 pagine dell’ordinanza eseguita dalla polizia nei confronti di 24 indagati, sottolineando che “la sua intenzione era quella di ‘prenderli tutti insieme'”, ossia “uccidere contestualmente” tutti i “soggetti coinvolti”, tanto da “voler provocare una strage”.
Un progetto, secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile e del commissariato di Adrano coordinate dalla Procura di Catania, pianificato in ogni dettaglio dal boss. Il gruppo di fuoco sarebbe partito da Chieti, dove abita uno zio di Lucifora, Pietro Schilirò, che gli avrebbe fornito un furgone senza Gps, per non essere tracciati, e forse anche le armi, con cui il boss e i suoi sodali avrebbero potuto “verosimilmente scendere da Chieti in Sicilia, commettere la strage e risalire a Chieti”, lasciando i loro cellulari nella città abruzzese per “precostituirsi un alibi e poter dimostrare che durante le fasi dell’omicidio si trovavano in quella città, ospite dei parenti complici e consapevoli, procurandosi nuove schede per poter parlare durante le fasi dell’omicidio”. Per rendere ancora più credibile l’alibi il reggente della cosca e i suoi complici “sarebbero stati pronti a dichiarare, qualora fosse necessario in un interrogatorio, che a Chieti Lucifora aveva un’amante, circostanza non veritiera”, e per renderla credibile stavano iniziando a mandarsi “messaggi concordati tra i telefoni dei due falsi amanti”.

La Procura di Catania: “Era previsto anche un piano per uccidere i killer del figlio reggente”

I fermi eseguiti contro dieci esponenti del clan mafioso Scalisi di Adrano sono stati disposti dalla Procura di Catania per un omicidio che era prossimo alla realizzazione. Il reggente della cosca aveva pianificato l’eliminazione degli autori della morte del figlio 17enne ucciso a coltellate la notte del 20 aprile a Francofonte (Siracusa). Per l’agguato, che sarebbe dovuto essere commesso nel Siracusano, sarebbe partito un commando da Chieti utilizzando anche una falsa divisa da carabiniere e un furgone senza gps per evitare di essere tracciato. Gli obiettivi del piano omicida non sono stati identificati dalla Procura di Catania.
A organizzare il piano sarebbe stato Pietro Lucifora, reggente del clan Scalisi, per vendicare la morte del figlio Nicolò Alfio durante una rissa tra giovani nel Siracusano, per cui è stato arrestato un indagato. Dalle intercettazioni attivate dalla Procura di Catania ed eseguite dalla polizia è emerso il progetto dell’agguato nei confronti di obiettivi che non sono stati identificati dagli investigatori, che doveva avvenire a Francofonte gli ultimi giorni di settembre. Dalle attività tecniche è emerso che tra “i compartecipi del piano omicidiario figurassero lo zio del reggente della cosca, Pietro Schilirò, unitamente ad alcuni appartenenti al nucleo familiare di quest’ultimo, tutti residenti a Chieti”.
In particolare sulla base delle ultime risultanze investigative, ricostruisce la Procura di Catania, il nucleo familiare dello Schilirò, “avvalendosi della collaborazione di un ulteriore soggetto residente a Pescara, si stava adoperando per confezionare, per conto di Pietro Lucifora, una finta divisa riproducente la foggia di quella da carabiniere da utilizzare durante l’agguato, nonché per noleggiare un furgone non munito di localizzatore satellitare, necessario per eseguire il viaggio di andata e ritorno dall’Abruzzo alla Sicilia e per reperire armi”. 
Secondo il progetto criminale, Lucifora si sarebbe creato “un alibi recandosi nel capoluogo teatino in occasione delle nozze dello zio con la compagna, previste per il 20 settembre, per poi eseguire il delitto tornando in Sicilia e ritornando in Abruzzo subito dopo l’esecuzione”.
Il piano sarebbe dovuto essere realizzato con il supporto di Mario Lucifora, fratello del reggente del clan, che, contesta la Procura, “si stava adoperando anch’egli per trovare delle armi da utilizzare nel corso dell’azione cruenta”.
Nel garage di Chieti in uso a Schilirò la polizia ha sequestrato due divise dalla foggia simile a quelle dell’Arma dei carabinieri, che erano funzionali all’esecuzione del piano omicida.

La conferenza stampa del Procuratore di Catania

 “Il nostro sistema carcerario è indifeso rispetto alle penetrazioni di cellulari. Probabilmente a livello più elevato del nostro, chi ha la responsabilità amministrativa e politica della gestione delle carceri, deve porsi il problema di schermare nel modo più opportuno gli ambienti penitenziari”. Lo ha detto il procuratore di Catania, Francesco Curcio, a margine della conferenza stampa sull’operazione che ha portato all’arresto da parte della polizia di quattordici indagati del clan mafioso Scalisi di Adrano.
Tribunale di Catania

“Se all’interno del carcere il telefonino non può essere usato perché l’ambiente è schermato – ha aggiunto Curcio – per questo sarebbe inutile averli e il problema sarebbe risolto. La pena deve rieducare, benissimo, ma come li rieduchiamo se continuano a delinquere nel carcere? Io questo mi chiedo”. “Tutto questo vanifica le indagini – ha concludo il procuratore di Catania – si lavora per anni, si fanno processi che costano milioni di euro, il sudore dei magistrati e della polizia giudiziaria e poi chi viene condannato continua a fare quello che faceva prima”.

“Il lavoro sistematico sulle organizzazioni criminali consente di cogliere anche in via di progettazione le attività criminali”. Lo ha detto il Procuratore di Catania Francesco Curcio a margine della conferenza stampa sull’operazione della polizia contro il clan mafioso Scalisi di Adrano.
    
“In questo caso ha aggiunto è stato possibile scongiurare l’esecuzione di uno o più omicidi in relazione ai quali era stato elaborato un piano molto articolato, acquisendo addirittura delle finte divise da carabiniere per potersi ‘avvicinare’. Tutto sarebbe avvenuto in questi giorni contro le vittime predestinate”.
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