Nei primi del 1500 il Re Enrico VIII era ben noto per essere stato il re d’Inghilterra che ebbe sei mogli: Caterina D’Aragona, Anna Bolena, Jane Seymour, Anna di Cleves, Caterina Howard e Caterina Parr, ed un numero indefinito di amanti.
Un Re che aveva una grande frustrazione per la ricerca di avere un figlio maschio. Quell’erede che potesse portare avanti il nome della famiglia Tudor nella storia a venire, e solidificare la presenza del casato sul trono.
La caccia affannosa a quell’erede maschio che non arrivava (e non certo per colpa delle consorti), la grande volubilità nella scelta delle sue spose, lo portarono ad escogitare cavilli e subdole strategie, per affidarle l’una dopo l’altra al boia, mentre era in atto lo scisma anglicano, che pure fece le sue nobili vittime.
Molte delle donne che diventarono sue mogli vennero usate come pedine politiche da uomini ambiziosi (spesso i loro stessi padri). Alcune di loro avevano sangue reale, altre erano le ultime speranze di nobili famiglie in fase di declino. Quasi tutte loro non avevano parola in merito alla situazione nella quale vennero coinvolte e che cambiò per sempre i loro destini.
Tra le tante storie di Enrico VIII, quella con Anna Bolena (dama di compagnia della regina Caterina d’Aragona, prima moglie di Enrico VIII) ci propone certamente, una analogia con il nostro tempo: quella di una grave pandemia che li tenne lontani in isolamento prima di potersi ricongiungere per sposarsi. Ma anche in questo caso la pandemia non insegnò nulla ne tanto meno ne cambiò le sorti, infatti anche lei fu eliminata e condannata a morte nel 1536 con l’accusa di essere una strega.
La fama del rapporto tra il Re e le sue donne, arrivò anche in Sicilia, che non tardò a diventare un modo di dire tra la popolazione che lo prese come esempio nei confronti del maschio donnaiolo. Indicandolo con il nome di Enrico VIII, che divenne ben presto modificato dal dialetto in enricu’ttavo a u ricuttaro. Con una variante più morbida ma sempre esplicita di Fimminaru, che praticava il “libertinismo” con tante donne senza tanti preamboli.
Certamente l’appellativo di u ricuttaro non è una medaglia al merito da sfoggiare nelle cerimonie ufficiali, ma un dispregiativo legale alla malvagità di un Re femminicida, che senza pietà non esitò a praticare la morte pur di ottenere un erede maschio.