“La mafia non è più quella di una volta“, decimo lungometraggio di Franco Maresco, che a Venezia 76 ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria, continua sul filone segnato da Belluscone, nel raccontare la Palermo di oggi, “dolcemente addormentata” da decenni, pescando nelle viscere di chi abita la periferia e non solo.
Accanto a Ciccio Mira, l’impresario dei cantanti neo melodici che ritorna anche in questo film organizzando un concerto di piazza ‘fuori dalle sue corde’, Maresco affianca Letizia Battaglia, la fotografa palermitana che per prima documentò i morti di mafia nella “lunga notte senza fine” del capoluogo, volendo dare visioni diverse, con prospettive umane divergenti, della stessa circostanza.
Il film, infatti, è stato girato nel 2017, nel venticinquesimo anniversario delle stragi del ’92 dove persero la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, raccogliendo, nelle commemorazioni che si ripetono quasi immutate ogni anno, la sostanza di queste ‘parate’ che coinvolgono adulti, giovani, palermitani e non. Dall’albero Falcone allo Zen, passando dalle navi della legalità ai mercati storici.
Del film è stato detto già molto, dai critici di settore che lo hanno sviscerato sulle testate nazionali, e non solo, e ne vien fuori, secondo loro, un Maresco ancora più annichilito nella sua prospettiva artistica.
A nostro avviso ne “La mafia non è più quella di una volta” il regista mantiene la sua cifra stilistica, rinomatamente scettica e dissacrante ma senza nessuna nuova esasperazione. Anzi in qualche passaggio abbiamo anche riscontrato un timido barlume di speranza.
Il tema della mafia e della sua connivenza con i palermitani, attraverso diverse manifestazioni, era già stato affrontato in Belluscone, dove l’afflato, diciamo così, di certi strati sociali verso il fenomeno mafioso era già diventato ‘cinema’.
Sorprendersi oggi davanti il grande schermo perché alcuni abitanti del quartiere Zen, citiamo questo perché presente nel film, ma potrebbe benissimo essere qualsiasi altra periferia palermitana, non rendono omaggio a Falcone e Borsellino, eroi umani che con il loro sacrificio hanno scosso le coscienze ma non modificato il Dna dei siciliani, ci sembra surreale, per citare un aggettivo caro al regista.
Che sia un vero maestro nell’imbastire un racconto cinematografico in cui il confine tra realtà e creatività si fondono magistralmente, Maresco lo ha già dimostrato diverse volte nei suoi lavori che, per quanto dica che non servono a niente se non ad alleggerire le sue nevrosi, per noi sono patrimonio artistico preziosissimo perché raccontano la Palermo che nessuno vuole vedere.
Il punto è che Franco Maresco è sempre stato attratto da quelle personalità, “ombre folli” le avrebbe definite il suo caro amico Franco Scaldati (per cui ha realizzato anche il meraviglioso “Gli uomini di questa città io non li conosco” – ndr), che sfuggono alla visione di quanti vivono nel quadrilatero del centro storico o dei quartieri d’elìte, pensando che la realtà sia solo quella presente sotto i loro occhi.
La sua è sì una ricerca spasmodica del ‘caso umano’ che, in questo ultimo film, può essere il cantante Cristian Miscel o il produttore Matteo Mannino ma, a ben vedere, non inventa personaggi ha semmai, come un Socrate dei nostri giorni, la capacità di tirare fuori da queste persone una verità, la loro, che arriva come un pugno allo stomaco dello spettatore. Verità che rappresenta, al pari del Teatro Massimo, la città di Palermo.
E lo stesso metodo lo usa con tutti i suoi protagonisti, anche con Letizia Battaglia che più di una volta nel film lo manda anche a quel paese ma che, proprio lei, nel finale rappresenta con il suo sorriso, ancora gioioso, e i suoi capelli rosa quel barlume di ottimismo che segnalavamo prima.
Racconta Maresco, in definitiva, un momento storico e antropologico reso, ad un certo punto del film, da un collages di immagini e testimonianze in cui al centro campeggia un sonnolente Ciccio Mira, sempre nei toni del bianco e nero nel film, e tutt’intorno pezzi di storia e cronaca che testimoniano che la mafia, e l’antimafia ci viene da dire, non siano più più quella di una volta .
Riconoscendo, dunque, a Maresco un talento eccezionale, confidiamo, infine, su una delle sue ultime battute finali: “Noi manterremo vigile il nostro scetticismo“, attendendo tra l’altro che realizzi, presto, “la promessa nella promessa” fatta all’inizio del film a Letizia Battaglia.