“Gigi si è lasciato andare. Ha avuto una vita molto intensa ed è arrivato a settant’anni devastato. È stato il peggior nemico di se stesso“. A parlare è Salvo Piparo cuntista e poeta palermitano ricordando uno dei suoi maestri: Luigi Maria Burruano che si è spento ieri.
La camera ardente sarà allestita al Teatro Biondo, dove a partire dalle 11 di oggi si potrà salutare per l’ultima volta l’attore palermitano.
“Hanno tentato di ricoverarlo – continua Salvo con la voce rotta dal pianto – ma lui ha messo firma e se n’è tornato a casa; ultimamente lui non amava più la vita, amava solo la gente“.
Era sempre ironico Burruano, anche nei momenti più dolorosi della sua vita non ha mai perso l’ironia. “Ultimamente quando gli chiedevo come stava col fegato – continua Piparo – mi rispondeva cu ficatu staju buonu, ste muriennu ma cu ficatu staju buonu“.
“Una figura controversa, ma affascinante. Un poeta dei nostri tempi – ricorda – da quando era giovane Burruano ha sempre condotto una vita dissoluta, ma era un drammaturgo eccezionale, un amante di Palermo, delle sue bellezze, della sua gente, delle sue tradizioni, che amava raccontare in ogni suo spettacolo”.
“La parte migliore di lui era l’intelletto e la sensibilità – aggiunge Piparo – e forse apparteneva alla cerchia di quelle persone maledette, troppo sensibili per fare i conti con la realtà. È il migliore attore che noi avevamo, siamo tutti d’accordo su questo, aveva una poesia cupa, nera ma al contempo romantica, io faccio teatro grazie a lui e grazie a Costanza Licata. Una volta ho visto uno spettacolo di Salvo Licata ‘Il trionfo di Rosalia’ al Montevergini e come attori c’erano loro due Costanza e Gigi, non volevano farmi entrare nei camerini io dissi che Gigi era mio zio, ma non lo conoscevo neanche eppure lui mi fece entrare e mi disse con la sua voce roca: ‘Assiettati’, e mi fece assistere alle prove”.
Lui era così con tutti, una persona generosa in un mondo dove nessuno regala niente. “Da quell’incontro – continua – decisi che quello doveva essere il mio mestiere, per me è stato l’unico esempio vivente, mi ha insegnato tanto: come si mette in scena uno spettacolo, come si fa la drammaturgia, anche come si suda sul palco. È stato generoso, il nostro mondo è fatto di storie e di parole, quando gli dicevo ho pensato che vorrei raccontare questa storia e lui mi diceva amunì viriamu comu ci vai. Una volta abbiamo organizzato uno spettacolo per Giovanni Alamia a cui lui era legatissimo e lui piangeva. Ci teneva assai che tutto andasse bene quella serata perché gliela commissionò la moglie di Alamia“.
Salvo Piparo racconta anche della grande amicizia che passava tra Luigi Burruano e Salvo Licata: “Gigi si emozionava per poche cose, il ricordo di Salvo era una di queste cose – continua il cuntista – Insieme furono i precursori del teatro sociale, andarono a fare le occupazioni allo Zen insieme agli occupanti che pensavano fossero mafiosi e invece erano gli intellettuali della città e si misero a fare teatro negli scantinati dello Zen“.
Burruano aveva perso il gusto della vita, ha visto morire tutti i suoi compagni di vita da Giorgio Li Bassi a Franco Scaldati e Giovanni Alamia, “Mi diceva spesso: u prossimo sugnu io. – Ricorda Piparo – Lui aveva uno spirito anarchico, ad un certo punto questa città che tanto ha amato non l’ha più riconosciuta“.
Anche Costanza Licata lo ricorda con molto affetto: “Ha cominciato a fare teatro grazie a mio padre – dice l’attrice figlia di Salvo Licata – a diciassette anni non andava a scuola per andare ai Travaglini, il primo Cabaret cittadino che fece nascere mio padre. Una sera disse a mio padre: Salvo sai io faccio uno lo sketch che si chiama ‘La partita’, e mio padre si ammazzò dalle risate con quel pezzo, e una sera lo buttò letteralmente in scena, sul palco, e così ha cominciato la sua carriera. Mio padre diceva che era Robert De Niro palermitano. Insieme a lui ho fatto uno spettacolo bellissimo, ‘Acquadicielo’, io cantavo sopra una barca, era molto geloso di me così all’inizio si pensò di farmi indossare una sottanina, me la vide addosso e mi disse ‘No talè, tu ti metti na cammisa’“.