Gli agrumi siciliani oggi godono di grande considerazione e vengono apprezzati in molte parti del mondo. Innanzitutto, diciamo che quella degli agrumi è una storia complessa, articolata e plurimillenaria. Già prima del 1000 a. C. essi venivano coltivati nella Cina meridionale per poi successivamente, tra VIII e VII secolo a. C., diffondersi in Iraq.
Nei secoli successivi gli agrumi verranno introdotti in Grecia, riuscendo ad affermarsi considerevolmente in tutta l’area mediterranea tra I secolo a. C. e I secolo d. C. E come ci dimostrano i mosaici della villa del Casale di Piazza Armerina del IV secolo d. C., alberi di limone e aranceti decoravano i giardini delle ville patrizie, almeno in Calabria e in Sicilia, dove i musulmani miglioreranno i sistemi d’irrigazione permettendo così un ulteriore incremento della produzione di limoni, cedri e arance.
Ma la vera fortuna degli agrumi siciliani si registrò a partire dai primi anni dell’ottocento, quando la Sicilia dovette subire il blocco continentale napoleonico. L’Isola, occupata dagli inglesi, conobbe un significativo incremento produttivo anche per le necessità di approvvigionamento legate alla presenza della Royal Navy e dei reggimenti britannici. Ma al di là della contingente situazione politico-militare, che sicuramente diede un impulso importante alla produzione agrumaria, nel corso del XIX secolo vi furono significativi cambiamenti nell’organizzazione produttiva delle campagne siciliane con un grande ampliamento delle superfici coltivate dedicate ad aranceti e limoneti, trasformazioni che proseguiranno anche nei primi decenni del XX secolo.
Infatti, a metà ottocento la superficie dedicata agli agrumi si aggirava intorno agli 8.000 ettari, passando ai 26.000 negli anni 80 dell’ottocento, ai 35.000 nel 1914 e ai 53.000 nel 1929. Pertanto, anche la produzione registrò crescite significative: dai 2 milioni di quintali del 1879-80 si raggiunsero i 3 milioni alla fine del XIX secolo, per poi toccare la punta dei 5 milioni sotto i governi Giolitti.
Tali livelli di produzione resero la Sicilia una regione esportatrice di agrumi, i quali, accanto al vino e allo zolfo, erano le merci più esportate della Sicilia ottocentesca, potendo così rispondere ad una domanda internazionale sempre più ampia. Infatti, dal 1872 al 1912 le esportazioni verso gli Usa salirono da 364.000 a 764.000 quintali, verso l’Inghilterra aumentarono da 176.000 a 514.000 quintali e addirittura la Russia aumentò la propria domanda di 6 volte passando da 50.000 a 320.000 quintali. E quando l’Italia entrò a far parte della Triplice Alleanza (1882) ebbe più facile accesso al mercato mitteleuropeo, di conseguenza anche l’esportazione degli agrumi siciliani pure in queste regioni conobbe importantissimi incrementi. Così, gli agrumi, nella bilancia commerciale dell’Isola, riuscirono a conquistare il primo posto alla fine del XIX secolo e negli anni ’20 del Novecento determinando, addirittura, oltre la metà del valore delle esportazioni siciliane.
Limoni e arance venivano coltivati in aree geografiche differenti: gli alberi di limone erano più presenti, soprattutto, sul versante settentrionale dell’Isola, nelle province di Messina e Palermo, mentre, gli aranceti si trovavano in gran quantità nella parte sud-orientale della Sicilia. Oltretutto, mentre le arance se la dovevano vedere con la concorrenza iberica, i limoni, al contrario, ricoprivano una posizione di monopolio, almeno nella piazza commerciale europea, rifornendo, tra l’altro, l’industria del citrato di calcio.
S’intensificarono i rapporti tra città e campagne, infatti, l’interscambio commerciale tra aree rurali e aree urbane divenne più intenso per la moltitudine di attività artigianali, industriali e commerciali che si svilupparono a ridosso delle zone rurali: fabbriche di essenze di citrato, aziende per la costruzione di cassette d’imballaggio, industrie di concimi chimici, agenzie di esportazione e magazzini vari. A Messina e a Palermo si radicarono le principali attività di confezionamento e di spedizione degli agrumi freschi come pure s’insediarono le aziende più dinamiche specializzate nella lavorazione del limone per ottenere il citrato di calcio e l’acido citrico. Dal porto di Messina l’esportazione era più rivolta verso l’Europa centro-settentrionale, l’Inghilterra e la Russia mentre da Palermo l’esportazione era maggiormente indirizzata verso il nord America.
Oggi, la Sicilia possiede ben 85.000 ettari di coltivazione agrumaria, corrispondente all’incirca al 60 % dell’interacoltura nazionale, con una produzione di ben 16 milioni di quintali di prodottoannui, uguale, grosso modo, ai due terzi di tutta la produzioneitaliana. Nonostante i dati evidenzino l’attuale primato della Sicilia a livello nazionale,limoni e arance dell’Isola se la devono vedere con la concorrenza sempre più aggressiva dei prodotti nordafricani e palestinesi, per non parlare degli agrumi cinesi che aspirano ad acquisire un primato incontrastato.
Come abbiamo visto, fin dall’antichità, gli agrumi hanno arricchito la Sicilia di colori, profumi e sapori. Una storia quella degli agrumi siciliani che si snoda e si sviluppa nel tempo attraverso il contributo di diversi popoli e civiltà, per poi affermarsi nel mercato internazionale nel corso del XIX secolo: dall’Inghilterra alla Russia, dagli Stati Uniti d’America alle regioni tedesche e balcaniche, limoni e arance di Sicilia frequenteranno le tavole di mezzo mondo. E ancora oggi, nonostante la crescente difficoltà a contrastare le produzioni straniere, gli agrumi siciliani viaggiano per il pianeta deliziando i palati e proiettando il consumatore nei profumi e nelle essenze di Sicilia.