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Gocce di Anatomia, l’intestino e i suoi segreti: iniziamo a svelarne qualcuno

giovedì 30 Giugno 2022
Francesco Cappello
Francesco Cappello

Che l’intestino sia parte dell’apparato digerente è noto a tutti. Quest’ultimo infatti è costituito dal lungo canale alimentare e dagli organi annessi, ossia la lingua, i denti, le ghiandole salivari maggiori, le tonsille, il fegato, il pancreas e l’appendice vermiforme.

Il canale alimentare, a sua volta, è il lungo tubo che, fin dall’epoca embrio-fetale, collega la bocca all’ano e governa i processi di assunzione del cibo, la sua digestione, l’assorbimento e infine l’espulsione delle scorie. Alla cavità orale, infatti, fa seguito il faringe, l’esofago, lo stomaco, l’intestino e il canale anale.

L’intestino è il tratto più lungo, potendosi suddividere in “tenue” e “crasso”. Il primo si divide ulteriormente in duodeno, digiuno e ileo, riferendoci però ormai, per lo più, alle due ultime porzioni col termine di “intestino tenue mesenteriale”. Anche il secondo si divide in tre porzioni, ossia cieco, colon e retto, ma la porzione centrale viene ulteriormente descritta in parti che si susseguono, quali “colon ascendente”, “colon trasverso”, “colon discendente” e “colon ileopelvico” (alle volte detto anche “sigmoideo”, sebbene gli anatomisti più “puri” potranno storcere un po’ il naso per questa assimilazione).

Ciò che accomuna i tratti del canale alimentare dall’esofago al retto è l’analogia riguardante la struttura della parete degli organi che si susseguono. Infatti, in tutti i casi troviamo una parete costituita da quattro tonache sovrapposte; dall’interno verso l’esterno descriviamo la mucosa, la sottomucosa, la muscolare propria e l’avventizia (inglobata nella sierosa, alias il peritoneo, laddove questo è presente).

Questo è almeno ciò che si trova scritto in tutti i testi di Anatomia umana e Istologia da quando Marcello Malpighi, nella seconda metà del XVII secolo, coi suoi studi pionieristici di anatomia microscopica – resi possibili dall’invenzione del microscopio ottico – iniziò a descrivere la fine struttura degli organi del corpo umano. Ma il metodo vesaliano (poi ripreso perfezionato da Karl Popper attraverso le sue teorie sul falsificazionismo) ci ha insegnato che nulla dev’essere dato per scontato in medicina e in biologia e che tutto è vero fino a prova contraria e spetta a noi ricercatori cercare di confutare i dogmi della scienza.

Da qui in poi quindi, cercherò di spiegarvi perché la realtà delle cose nella parete di questi organi, e in particolare dell’intestino, è un po’ diversa. Tutto parte da quando, alcuni lustri fa, si è accesa l’attenzione sul microbiota intestinale. Pioniere di questi studi viene riconosciuto essere Arthur Isaac Kendall, su cui trovate una interessante tributo a questo link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3803779/pdf/QBullNorthwestUnivMedSch-34-1-90_14.pdf

Al microbiota intestinale, ossia all’insieme di tutti i microbi che popolano in maniera simbiotica il tratto più lungo del nostro canale alimentare, vengono oggi riconosciuti molti importanti ruoli sia in fisiologia che in fisiopatologia, e non solo per quanto riguarda l’apparato digerente, essendo le alterazioni del microbiota state implicate perfino nella genesi, nella perpetuazione o nella recrudescenza di patologie nervose o di altri distretti anatomici. Il microbiota vive immerso in un microambiente molto particolare, costituito in massima parte dal muco prodotto dalle cellule epiteliali della tonaca mucosa e in parte minore (ma non per importanza) dalle nanovescicole prodotte sia dalle cellule umane che dalle cellule batteriche; nanovescicole attraverso cui si svolge un costante dialogo tra le cellule del nostro organismo e gli elementi del nostro microbiota; nanovescicole che sono in grado, attraverso il torrente ematico e quello linfatico, di raggiungere distretti anatomici anche lontani rispetto al sito di produzione. Per un approfondimento sulle nanovescicole umane e batteriche, si suggerisce la lettura di questo articolo: https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acsnano.5b08015

Da Morfologi, alias studiosi dell’Anatomia e dell’Istologia umane, non possiamo che sostenere che lo studio della struttura del nostro Corpo passi anche per la descrizione dei meccanismi che regolano il differenziamento cellulare, l’omeostasi tissutale e il rimodellamento degli organi e che da un’alterazione del differenziamento cellulare derivi che il tessuto si disorganizza, per cui l’organo non funziona più bene e l’organismo è malato. In poche semplici parole, non si può interpretare alcun meccanismo fisiopatologico se non si ha una conoscenza precisa della struttura del nostro Corpo. Non solo: queste conoscenze stanno anche alla base della terapia medica, in quanto – compreso dove si è “inceppato” il meccanismo – si può provare a rimediare, magari con una modifica allo stile di vita o con un intervento farmacologico, lasciando alla chirurgia (demolitiva e ricostruttiva) l’extrema ratio.

Nel caso dell’intestino, non si può non tenere conto dell’esistenza del microbiota e del microambiente nel quale viene ospitato, e viceversa i testi di Anatomia umana e Istologia, come detto qualche paragrafo fa, sembrano ancora ignorarlo. Per questa ragione, recentemente abbiamo proposto di adoperare un nuovo termine, da noi all’uopo coniato, per riferirci al quinto strato, il più interno, delle parti del canale alimentare ove è presente, ossia lo strato muco-microbiotico (https://www.mdpi.com/2813-0464/1/1/6). Questo strato è stato fin qui “omesso” nella descrizione della struttura di questi organi in quanto le più comuni tecniche di processazione dei tessuti prelevati dal Corpo umano per la loro osservazione al microscopio, fin dai tempi di Malpighi, prevedono l’utilizzo di soluzioni alcoliche che sciolgono il muco e fanno scomparire di fatto questo strato, motivo per cui l’abbiamo definito “lo strato fantasma” (“the ghost layer”). Ma nel soggetto vivente esso esiste e, al pari degli altri strati, o forse più, ne condiziona la fisiologia e la fisiopatologia.

Per fare solo un esempio pratico dell’utilità della conoscenza dell’esistenza di questo strato, una sua alterazione può determinare una modificazione delle nanovescicole prodotte a questo livello, le quali possono inviare segnali “infiammatori” nel resto dell’organismo, come ad esempio nelle articolazioni o nel cervello, esacerbando patologie come le artropatie, le cefalee o la depressione. L’esistenza dello strato mucomicrobiotico, pertanto, non può più essere ignorata non tanto dai morfologi ma soprattutto dai medici e dai ricercatori che, nella pianificazione dei loro protocolli sperimentali, dovranno tenerlo in debito conto.

Altri studi sono al momento in corso, nei nostri laboratori, per caratterizzare meglio la composizione molecolare di questo strato, in condizioni di normalità e di patologia, nonché per verificarne l’esistenza in altri organi del Corpo Umano, quali ad esempio le vie aeree o quelli della sfera riproduttiva. È un argomento quindi che merita ulteriori approfondimenti e il nostro auspicio è che altri gruppi di ricercatori nel mondo presto ci aiutino a sviscerarlo.

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