Che cosa chiamiamo “gruppo”? Il gruppo può essere definito come un’organizzazione mentale condivisa, un catalizzatore psichico, un carburatore a combustione interna, un complesso e intrecciato reticolo di vissuti, relazioni, bisogni, emozioni e aspettative che si attivano in modo specifico e caratteristico all’interno di questo insieme di individui.
E chi è il “conduttore”? Possiamo definirlo come lo strumento del gruppo. Ci sono compiti e funzioni che non possono essere delegate al solo conduttore. Tuttavia, per svolgerle al meglio, deve essere dotato di competenze e conoscenze, deve saper leggere, interpretare, regolare e avere una leaderhip “appropriata” (M. E.McGill, J. W. Slocum). L’etimologia ci offre due linee di forza che si dispiegano all’interno di questo insieme: il nodo e il tondo (Anzieu, Martin, 1968). In un gruppo ci si può ben integrare o essere rifiutati. È investito, quindi, di speranze e di minacce, al tempo stesso. È un campo energetico in cui vediamo circolare all’interno del “tondo” gli sguardi, le idee, le fantasie, gli odori, i gusti, i gesti, i segnali, i feedback, i desideri di opporsi, di distinguersi, di essere se stessi (Lévi-Strauss 1973).
In gruppo, oltre a un effetto che in Psicopatologia viene chiamato “Psicochenosi” (Kenosis è una parola greca, che significa letteralmente “svuotamento” o “svuotarsi”), per intendere un contagio reciproco, vi è anche un effetto che io definisco di “Psicoplerosi” (Plerosis in greco antico significa “riempimento, soddisfazione, appagamento”). Grazie a questi fenomeni, il dolore si alleggerisce e si accresce l’autostima. Il “contagio”, quindi, può essere in positivo e/o in negativo. Il gruppo diviene uno “spazio senza” in cui il vecchio non c’è più e il nuovo non c’è ancora.
Il principio fisico per cui “l’osservatore influenza la realtà osservata”, per cui “la forma della particella varia a seconda di chi la osserva”, dovrebbe fare comprendere ancor di più quale aporia sollevi l’analisi di “quanto, cosa, come, quando, perché e in chi” vi siano determinati accadimenti in uno specifico gruppo. Le persone “sentono e percepiscono” in base alle proprie esperienze che fanno da filtro cognitivo.
Se il Conduttore deve costruire le “costellazioni familiari” dei partecipanti non dovrebbe basare tale opera attribuendo a uno quello che gli altri, spontaneamente, mettono in scena. Il gioco delle libere associazioni non serve per ricostruire cosa è accaduto e cosa può aver traumatizzato un paziente o un suo avo, di cui ha ereditato colpe e paturnie. Non si costruisce una storia senza una raccolta anamnestica oggettiva. Si entra certamente in un campo emozionale o magnetico condiviso ed è assodato che essendo tutti dei vettori e contenitori di onde elettromagnetiche in quel dato gruppo si muoveranno determinate energie e non altre che daranno forma a un insieme irripetibile che mobilita emozioni specifiche sullo sfondo di temi traumatici tralasciati o dimenticati. Sicuramente nel gruppo si trasferiscono, per spostamento e per proiezione, gli affetti attribuiti a un oggetto relazionale del passato familiare che non è presente nel gruppo come “apparizione fantasmagorica” o “possessione spiritica”.
Tali figure sono certamente presenti in ognuno di noi con la loro traccia mnestica e impronta simbolica che non è stata lasciata solo nel contatto fisico avuto in una determinata fase della vita, perché tali residui coesistono nel bagaglio genetico che si forma al momento del concepimento. Non ereditiamo solo tratti somatici, tic nervosi, atteggiamenti. Ereditiamo anche ricordi, traumi, culture, preconcetti che possono essere fatti risalire a tempi mai vissuti personalmente.
Una delle finalità di un gruppo di lavoro è quella di mobilitare, elaborare, rimuovere le strutture stereotipate di pensiero che hanno origine dall’ansia che si determina in presenza di standard elevati rispetto a quello che effettivamente si può raggiungere, in presenza di cambiamenti esistenziali importanti, come la perdita di un caro o una separazione.
Come ha detto Jung (1913) la malattia non deve essere curata, ma viene per curare e, quindi, per aiutare i pazienti a evolvere occorre comprendere cosa l’ha scatenata. Considerando l’immancabile fattore genetico che ci predispone a una determinata patologia piuttosto che a un’altra, essa viene fomentata nell’ambiente familiare patogeno e, infine, si attiva in concomitanza di fattori stressanti. Se si individuano i fattori stressanti si individuano i traumi psicologici ricevuti. Ecco perché avere competenze in Psicopatologia clinica, Psicodiagnostica nonché conoscere i risultati raggiunti dall’odierna scienza psicologica è fondamentale per una corretta gestione dei processi e delle relazioni. Ci sono individui dotati di uno speciale carisma e di una capacità seduttiva, in grado di indurre gli altri alla condivisione dei propri concetti, senza imposizione alcuna. Questi soggetti hanno indubbiamente un potere che, senza la giusta educazione, può generare la tendenza a semplificare ciò che non lo è, fomentando false credenze, concetti, abitudini.
L’Asclepieo, all’inizio dei tempi, era una semplice fontana o un pozzo che i malati attraversavano. Il malato era sottoposto a digiuni e lavacri purificatori, seguiti da un sacrificio propiziatorio e il sacerdote enunciava la diagnosi e la cura (F. Di Maria, G. Lo Verso, 1995). Non è più il tempo per i sacerdoti, le superstizioni e gli ignoranti. È tempo di scientifizzare i trattamenti, i metodi e la formazione uniti da uno stesso fine: aiutare i pazienti.