Cari lettori e sostenitori, come promesso, eccomi per “completare” – si fa per dire! – la riflessione iniziata sulla tecnica meditativa di cui io sono esperta, la WILD SYSTEM (Wake Initiated Lucid Dream). Il vantaggio di questa metodica, rispetto all’ipnosi, è che si raggiunge una trance profonda grazie alla quale si possono ripescare, nell’immenso arcipelago della mente, dei ricordi dolorosi che vengono, finalmente, estrapolati, come un dente cariato, rielaborati e rivitalizzati insieme allo psicologo. Ho specificato, infatti, nel precedente articolo che, mentre l’ipnosi facilita un restringimento selettivo della coscienza, provocandone un’alterazione, le tecniche di rilassamento la ampliano e promuovono, quindi, empowerment. Ciò che è essenziale fare è valutare attentamente, prima di lanciarsi nell’incognito, la personalità dell’individuo, la sua capacità di resilienza e assertività e, se è il caso, mettere in atto un lavoro di potenziamento cognitivo adeguato, in modo che il paziente non venga destabilizzato dall’acquisizione di consapevolezza e, grazie alla guida attenta dell’esperto, abbia sempre presente il piano B per uscire dalla trance, se troppo doloroso quello che emerge.
La volta scorsa mi sono soffermata sull’utilizzo di questa strategia di intervento nel caso del D.O.C.. Come tutti i disturbi di personalità, non è detto che viaggi da solo ma che si presenti in comorbilità con altre patologie psichiatriche. Non esiste, infatti, una diagnosi ma una doppia diagnosi, se non tripla. La questione che propongo oggi a semplici appassionati (spero non tuttologi) e colleghi, medici o psicologi, è: se tale sindrome si presentasse insieme a un disturbo dissociativo la tecnica WILD SYSTEM potrebbe essere utilizzata senza incorrere in rischi? Tali disturbi, infatti, sono caratterizzati da una vera e propria sconnessione dati momentanea e discontinua. Il Paziente, cioè, per qualche istante, più o meno lungo, perde il contatto con se stesso (depersonalizzazione) e/o con la realtà circostante (derealizzazione); riferisce una perdita di coscienza, la sensazione di essere distaccato da se, di non percepirsi, di perdere la rappresentazione corporea, il controllo motorio ed emotivo. Uno dei suggerimenti che do ai pazienti è quello di mettersi un cubetto di ghiaccio in mano o immergersi nella vasca di acqua fredda in modo da rientrare in se. Tali sintomi sono una delle conseguenze di un trauma, di un evento stressante o dell’avere subito violenze psicofisiche da parte di una figura significativa dell’infanzia. Ciò dato, quindi, aprire il vaso di pandora dovrebbe essere una strategia indicata ed efficace. La necessaria cautela da adottare con tutti i pazienti, tuttavia, in questi casi, deve essere raddoppiata perché non si vuole e non si deve rischiare un peggioramento della tendenza alla depersonalizzazione.
A mio parere e con l’esperienza acquisita, se si valuta di avere davanti una personalità sufficientemente assertiva e resiliente, se si è strutturato l’intervento in maniera tale da avere potenziato cognitivamente il soggetto, se lo si prepara per almeno 4-5 sedute alla trance profonda vera e propria, impiantando bene l’esercizio di apertura, l’esercizio di chiusura, abituando il paziente alla voce dello psicologo e a seguirla pedissequamente, rispondendo subito ai “comandi” impartiti, se lo si abitua a eventuali uscite dalla trance più “forti”, quello che io chiamo “piano b”, possibilmente, con l’ausilio del tatto e di oggetti (anche un cubetto di ghiaccio) che facilitino la ripresa del contatto con se stessi e, non ultimo criterio di valutazione, se lo psicologo è risoluto, determinato, preparato, conosce bene il paziente e la tecnica e, possibilmente, è dotato di una formidabile fantasia, credo fermamente che si possa parlare di emancipazione emotiva e cognitiva, fra l’altro, trattandosi di un ossessivo che può imparare ad accedere alla sua memoria emotiva mantenendo il controllo.
Quello che io sollecito e favorisco è uno stato crepuscolare onirico. Porto, cioè, il paziente a uno stadio di produzione onirica in stato di veglia. Le alterazioni di coscienza dell’ipnosi sono ben diverse in quanto rappresentano una deviazione del normale stato di lucidità. Vi sarà capitato, come a me, purtroppo, che, soprattutto quando sono pensierosa, mi ritrovo ad avere la sensazione di aver raggiunto un determinato posto, con la bicicletta, come se avessi attivato il pilota automatico, quindi, senza essere stata, o almeno questa è la percezione, realmente presente a me stessa. Un esempio che vale per tutti in condizioni di attività banali e ripetute, come anche lavare i piatti, etc. Questo è un po’ quello che succede con l’ipnosi. Si dice, infatti, che la mente ha sempre il controllo e non lo perde del tutto durante la trance. Direi che, se segue i comandi dell’analista, vuol dire che li vuole seguire!
Il WILD SYSTEM, invece, utilizza molto le metafore e la descrizione dei luoghi come metodo di induzione energetica. Quando facciamo un bel sogno come ci svegliamo? Positivi e questa sensazione condiziona il resto della giornata. Nel caso delle tecniche suddette, l’effetto dura per almeno tre giorni, in media. Si dorme meglio e migliorano le prestazioni cognitive, in generale. D’altronde, che bello, no? Che la seduta non si svolga fra quattro pareti, anche se colorate, ma su di una spiaggia, col sole che carezza il viso, immersi nell’acqua cristallina e, nel frattempo, trattare i ricordi traumatici come si tratta un fiore di loto, con ogni cura lo si appoggia sulla superficie marina e lo si guarda sparire all’orizzonte, come se non ci appartenesse più, sempre più sbiadito e minuscolo, innocuo.