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lo studio

I T-rex avevano labbra squamose: nuova ricostruzione dei dinosauri predatori

martedì 11 Aprile 2023

I dinosauri predatori, come i T-rex, avevano la dentatura ben nascosta da sottili labbra squamose. A ribaltare l’immagine proposta per decenni da film e illustrazioni, è uno studio comparativo pubblicato sulla rivista Science.

Il gruppo internazionale di esperti, guidato dal paleobiologo Thomas Cullen della Auburn University negli Stati Uniti ha esaminato la struttura dei denti, la loro usura e la morfologia della mascella in gruppi di rettili con e senza labbra. Hanno scoperto che l’anatomia e la funzionalità della bocca dei dinosauri teropodi sono più simili a quelle delle lucertole che a quelle dei coccodrilli.

Lo studio

I ricercatori hanno osservato che l’usura dei denti nei rettili senza labbra è molto diversa da quella dei dinosauri carnivori. Inoltre, secondo gli esperti, i denti dei dinosauri non erano più grandi, in proporzione al cranio, rispetto a quelli delle lucertole moderne, e dunque potevano essere ricoperti dalle labbra.

Nei dinosauri, la distribuzione dei piccoli fori dove passavano nervi e vasi sanguigni diretti alle gengive e ai tessuti della bocca era più simile a quella delle lucertole che a quella dei coccodrilli. Infine, il modello che riproduce la chiusura della bocca nei teropodi senza labbra mostra che per sigillare la bocca si sarebbe quasi dovuta disarticolare la mascella.

“I paleoartisti hanno vacillato sulla questione delle labbra fin da quando abbiamo cominciato a ricostruire i dinosauri nel XIX secolo. L’immagine dei dinosauri senza labbra ha preso il sopravvento negli anni Ottanta e Novanta, che si è profondamente radicati nella cultura popolare attraverso film e documentari come Jurassic Park e i suoi sequel. Curiosamente, non c’è mai stato uno studio dedicato o una scoperta che abbia istigato questo cambiamento, che probabilmente rifletteva la preferenza per una nuova estetica dall’aspetto feroce piuttosto che un cambiamento nel pensiero scientifico“. A spiegarlo  Mark Witton dell’Università di Portsmouth (UK), tra gli autori dello studio.

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