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Il Covid blocca anche lo Street Food: “L’indifferenza verso il settore ci sta uccidendo”

sabato 7 Novembre 2020

In tempo di pandemia lo Street Food, espressione della cultura culinaria di un territorio che concettualmente è una tipologia di ristorazione legata alla fruizione all’aperto, rappresenta un genere di consumo poco funzionale alla necessità di una circolazione ridotta. Vale per la modalità classiche vale anche per tutti coloro che hanno declinato la tradizione gastronomica della Sicilia in attività economico-aziendali.

Sotto questo punto di vista l’universo dello Street Food è materia quanto mai fluida non incasellabile in un’unica categoria di ristorazione, circostanza che nello scenario pandemico può comportare ulteriori complicazioni in aggiunta a quelle già esistenti. Il racconto degli operatori di settore sul momento attuale è in tal senso una testimonianza emblematica.

Danilo Li Muli

Danilo Li Muli Gomez, proprietario e creatore di “Ke Palle – Arancine d’Autore ha spiegato che ripartire dalla creatività e dalle novità è fondamentale in un periodo come questo e a maggior ragione nel suo caso alla luce di un “bug normativo” che ha estromesso la sua attività, e quelle omologhe all’accesso ai ristori: “Parto da una premessa ovvero che il nostro lavoro è un lavoro che tra le tante cose richiede creatività e nel caso specifico della mia attività è quello di offrire un’esperienza diversa partendo da un prodotto unico come l’arancina. Dico questo perché in un periodo segnato dalla pandemia e dalle conseguenze che esso implica la creatività è un’attitudine fondamentale per affrontare questo momento difficilissimo: viste le nuove restrizioni abbiamo pensato ad una novità per la nostra clientela che lanceremo nei prossimi giorni. Purtroppo, a causa della pandemia abbiamo avuto tanti problemi e, ad eccezione del mese di Agosto nel complesso positivo, nella mia attività ho registrato perdite per il 70%. A rendere ancora più pesante la situazione è il fatto chela mia categoria ‘Ristorazione con solo asporto’ è stata esclusa dal recente Decreto Ristori non essendo stato inserito il codice Ateco 56.10.2. Se sia stata una scelta politica ponderata o una dimenticanza questo non si sa e la nostra voce resta inascoltata: ad ogni modo è una fortissima discriminazione perché le nostre attività hanno subito i medesimi effetti negativi subiti da altre attività. Il fatto che in questa fase possiamo stare aperti non è certo una fortuna: con la circolazione ridotta a zero ovviamente la clientela si riduce in modo direttamente proporzionale. La mia speranza è che si faccia un passo incontro alla nostra categoria, cui sono legati posti di lavoro e famiglie: nel frattempo continuiamo a lavorare pensando a nuove formule sia per resistere sia per fare bene il nostro mestiere, che in fondo è quello a cui teniamo di più. La nottata prima o poi passerà”.

Vincenzo Carlisi, Marilena Portas e lo staff di SpremiAmo

Anche Vincenzo Carlisi, gestore assieme alla moglie Marilena Portas del locale “SpremiAmo”, che ha come specialità spremute, granite e cannoli preparati espressi con prodotti d’eccellenza siciliana, ha raccontato come la sua attività si ritrovi in una “zona grigia” da un punto di vista normativo: “Noi siamo un’attività di genere alimentari quindi non siamo sottoposti a restrizioni ma ovviamente con gli ultimi provvedimenti non abbiamo fruizione. Anche rimanendo aperti non possiamo erogare il nostro servizio che è espresso: nel momento in cui si deve seguire alla lettera il dispositivo di legge e devo portare a casa o una spremuta a quel punto una persona se la fa a casa anche perché il tempo di consegnare il caffè si raffredda e la spremuta perde le sue proprietà organolettiche come anche un cannolo fatto bene se non lo servi immediatamente diventa immangiabile perché la ricotta butta l’acqua compromettendo la cialda. Non possiamo permetterci di servire ai clienti un prodotto che perda le sue qualità. Siamo in una situazione veramente difficile: ci aiuta a restare aperti avere le mura di proprietà e aver garantito il personale con la cassa integrazione ed è comunque un dolore per noi vedere i nostri lavoratori, che sono parte della nostra famiglia, in difficoltà. Penso a titolo personale che da un punto di vista politico nei nostri confronti ci voglia programmazione: non si può dire ogni volta che bisogna aspettare decreti che cambiano di continuo, con tempistiche che complicano la vita. Nel mio lavoro si programma, capire se devo fare le scorte o meno, se avere personale o meno, se aprire o meno, con tutto quello che ne deriva. Poi il Governo dovrebbe cercare di dare dei ristori concreti alle attività in questa fase.”

Paolo Mazza e lo staff di Don Minico

La situazione raccontata da Paolo Mazza, titolare di Don Minico, attività situata in località Colle San Rizzo a Messina e celebre per il “panino alla disgraziata” è invece più simile a quelle, purtroppo più volte sentite, legate alla ristorazione standard in cui prevale un senso di sconforto e abbandono istituzionale: “Noi siamo in una zona di mezza collina dove ci sono spazi molto vasti all’esterno: per noi questa è una bella mazzata. In estate siamo riusciti ad avere un po’ di ripresa ma comunque non è stato nulla di straordinario. Purtroppo è una mortificazione per la nostra attività: in questa seconda ondata subiremo rallentamenti ulteriori. Le difficoltà ci sono e le percepiamo in questo periodo: la paura c’è e se poi aggiungiamo che non tutti rispettano le regole e che c’è ansia generalizzata allora il quadro si complica. Poi essendo noi a mezza collina, e dunque non siamo in un luogo di passaggio e la gente deve venire a posta, soffriamo il problema in modo più significativo. Con quello che ci è stato dato, che per altro non è arrivato a tutti da quello che apprendo, non riusciamo a pagare nemmeno la luce figuriamoci tutte le tasse. Purtroppo manca attenzione nei confronti del settore nonostante la nostre attività siano quelle che danno molto lustro ai territori in cui operiamo visto che concorriamo alla creazione di flussi e clienti, visto che, noi come altre realtà in Sicilia, siamo custodi di una tradizione gastronomica. Tutto lo sforzo fatto con sacrifici e investimenti è in questo momento vanificato. In questa fase assistiamo ad un cambiamento delle regole di giorno in giorno: noi avevamo pianificato, osservando tutte le norme di distanziamento sociale, di poter ospitare 120 persone; poi è uscito un nuovo decreto che ci diceva che il numero da 6 persone al tavolo passava a 4; poi direttamente che non si poteva sedere nessuno. Ci vuole maggiore programmazione perché poi l’assenza di questa si ripercuote su tutti i lavori”.

Andrea Graziano

Andrea Graziano, che partendo dai prodotti del territorio ha dato vita alla catena Fud, presente a Palermo, Catania e Milano, ha spiegato nel dettaglio come i problemi di un’azienda nell’era della pandemia colpiscano tutto l’indotto correlato con il rischio di andare incontro a fallimenti a catena:Noi veniamo da un periodo di chiusura totale che va da Marzo a Maggio, un periodo molto pesante che ha comportato una grossa e irrecuperabile perdita di fatturato. Quando siamo ripartiti non l’abbiamo fatto con l’idea di recuperare il perso ma siamo riusciti a resistere ottimizzando il tempo che avevamo lavorando sulla formazione e sul marketing. C’era tanto entusiasmo e tanta emozione quando abbiamo ricominciato siamo riusciti a tornare su numeri che consentivano la sostenibilità dell’azienda e adesso ci ritroviamo con le gambe spezzate. Tanta la confusione e poca coerenza che si è creata in ambito politico nel gestire le cose, con continui cambiamenti giorno per giorno, e nel modo di comunicarle: a Milano è stata complicatissima, visto che è stata la prima realtà ad essere colpita da un punto di vista commerciale essendo una città che vive di eventi e di grande circolazione. Adesso a Milano abbiamo chiuso al pubblico come da oggi siamo chiusi anche su Catania e Palermo: continuiamo a lavorare come con gli asporti e col delivery come sempre ma quella è una piccola parte che diventa funzionale se siamo aperti. La nostra è un’azienda da 150 dipendenti che non può reggersi solo sugli asporti e sul delivery. Sicuramente l’accesso alla Cig aiuta ma questa è una situazione non sostenibile. Non lo è per un’azienda strutturata come la nostra non lo è per altre realtà più piccole e già fortemente danneggiate. Abbiamo l’esigenza che si consideri la ristorazione come uno dei comparti più danneggiati dalla pandemia: c’è bisogno di aiuti funzionali legati alla defiscalizzazione del lavoro, alla sospensione se non all’annullamento dei contributi ma anche di liquidità. Noi andiamo avanti a perdere per sostenere il background dell’impresa: noi lavoriamo con tantissimi piccoli produttori e per tutti loro siamo il miglior cliente, ci sono aziende per cui rappresentiamo il 90% del fatturato. Anche se i ristoranti chiudono le aziende agricole non chiudono: gli animali vanno curati e allevati, i campi coltivati. Per queste imprese non c’è lockdown e noi in qualche modo dobbiamo sostenerle perché rischiamo che alcune aziende legate a noi falliscano. Chi governa consideri in tempi brevissimi supporti per il mondo della ristorazione: in questa fase non abbiamo bisogno di proclami o battaglie politiche. Noi seguiamo alla lettera tutte le regole e andiamo avanti per sostenere un comparto ma la situazione è drammatica e abbiamo bisogno d’aiuto”.

Le testimonianze dei ristoratori di cui sopra raccontano di realtà diverse che concorrono tutte verso la medesima necessità ovvero quella di una programmazione per il settore sia in quanto ai provvedimenti restrittivi, sia soprattutto in quanto ad un sostegno che, chiaramente a questo punto, non è più derogabile.

 

 

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