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Abbiamo il piacere di avere in redazione Mari Albanese e Maria Grazia Maggio, entrambe docenti, impegnate nel sociale, toste e accoglienti, profonde e leggere, combattenti col sorriso, che ci fanno penetrare tra le pieghe del loro libro “Diario inquieto di un’insegnante precaria” (Navarra Editore), scritto a quattro mani.
Siccome “un mistero svelato è un mistero svilito“, direbbe Roberto Benigni, vi daremo solo degli spunti per farvi innamorare di Tecla, Ho’oponopono, che presto capirete chi è, e dei tanti personaggi che donano a questa storia, vissuta, cristallizzata e condivisa da tantissimi precari, un arcobaleno di sfumature.
La prima riflessione è che, pur parlando di un tema che affligge i nostri templi, le due “amate” scrittrici, così le chiamerebbe Ho’opononono che ritorna nelle mie parole, infittendo il mistero, lo affrontano non con toni drammatici, ma malinconici e, a volte, addirittura tragicomici proprio come solo la vita farebbe. Ma è arrivato il tempo di partire col fuoco di fila “amico” delle domande.
La prima curiosità, che sorge spontanea, è come sia nata l’idea di scriverlo a quattro mani: tu, Mari, infatti, sei Tecla, la protagonista, l’inquieta insegnante precaria del titolo, mentre Maria Grazia è Ho’oponopono, il nostro confessore adolescenziale (chiamandomi Holmes, amo depistare i lettori miei Watson).
Intanto che piacere trovarmi, trovarci accanto a te cara Giusi, creatura eclettica e forza armonica della natura. Questo libro nasce a Pisa , tra le pareti della mia solitudine col frastuono che fa la nostalgia. Lo avevo poi messo da parte. Questa estate invece ho sentito il bisogno di ripercorrere quel pezzo della mia vita e di farlo accanto ad un’amica speciale. È stato così che ho chiesto a Maria Grazia di scrivere assieme a me. Di accompagnare Tecla ad uscire fuori dal suo soliloquio… un diario in fondo altro non è che meraviglioso dia-logos interiore.
Il piacere di poter penetrare tra le pieghe di questo libro, che ho divorato in due notti, mi ha fatto nascere tante curiosità che solo voi due, le artefici, potete soddisfare. Maria Grazia, come avete proceduto nella stesura: scrivevate assieme, confrontandovi immediatamente, oppure lo faceva prima una e, poi, l’altra rispondeva come in un carteggio?
E’ stata un’esperienza al buio nel senso che ognuna ha scritto per conto proprio, ma gli occhi del cuore, sono stati puntati l’una sull’altra in questa magnifica danza di sentimenti e racconti. Come è anche spiegato all’inizio del libro, Tecla sollecita Ho’oponopono nei racconti della sua quotidianità e della sua storia e Ho’oponopono le risponde. La definizione che hai usato è corretta, un carteggio che ha tracciato e insieme ispirato una rotta verso gli argomenti della vita.
Maria Grazia com’è nata la trovata geniale di dare voce a colui che di solito è depositario muto delle nostre confidenze, il diario, e da cosa nasce questo nome immaginifico?
Quando Mari mi ha chiesto di scrivere, io ero davvero molto indecisa, ma poi ho trovato l’idea straordinariamente stimolante, perché è necessario far conoscere alle persone il mondo del precariato in cui, insegnanti talentuosi, come Mari, ogni anno vivono sospesi in attesa di stabilità e che lo stato licenzia alla conclusione dell’anno scolastico. E allora, piuttosto che interagire da insegnante di ruolo, ben seduta dietro la cattedra, mi sono smaterializzata e sono diventata un diario narrante, che attraversa i secoli, e le storie che narra, lasciando sempre a Tecla uno spunto di riflessione. Ho’ponopono, da me conosciuto nel libro “Zero limits” di Joe Vitale, è una sorta di mantra che nelle popolazioni hawaiane serve ad affrontare i problemi, vedendoli non come circostanze terribili, ma come opportunità e quale migliore supporto avrebbe potuto affiancare Tecla, nella sua sfida giornaliera!
Una sorta di elogio alla resilienza interiore che permette di vedere tra le righe come tutto ha risvolti che possiamo trasformare in occasioni positive. Mari, conoscendoti, in Tecla ho visto il tuo alter ego e, per dire la verità, anche il mio. In cosa ti somiglia e, invece, c’è qualcosa in cui si allontana da te?
Giusina mia, amo molto Tecla e mi piacerebbe somigliarle di più. È una donna che nonostante le difficoltà quotidiane trova la forza per attuare cambiamenti importanti. Con la mia Tecla condivido la malinconia, l’amore per la nebbia, per le formiche e per la filosofia. C’è molto di me in lei, la seconda nascita ad esempio, la passione per l’insegnamento, per la ricerca politica. A lei ho ritagliato una sana follia creativa che mi appartiene, ma è più intraprendente soprattutto nei rapporti personali. Sono io e quello che mi piacerebbe ancora diventare. Soddisfatta Holmes?
Soddisfatta è dire poco, mia cara e fondamentale Watson che mi stai aiutando, assieme a Mariagrazia, a svelare senza rivelare troppo. Ho’oponopono, che sei tu Maria Grazia, attraverso i vari inchiostri e le storie che l’hanno abitato, è una sorta di guida all’infuori di te o, piuttosto, la tua coscienza che si fa sentire?
Una delle cose più straordinarie del libro, è stata quella che, chi ha letto il libro, non ha capito che fosse scritto a 4 mani. Questo esprime la profonda empatia che si è stabilita fra me e Mari, come se l’una rappresentasse, nei modi di sentire l’esistenza, la voce interna dell’altra e viceversa, coscienza che si trasforma in guida, o anche solamente specchio.
Hai perfettamente ragione, le due voci si fondono diventando, anche nella diversità del racconto che si sviluppa sia nel presente di Tecla che nei tanti passati di Ho’oponopono, unica voce. Nel libro il fil rouge è la precarietà nella scuola che genera l’incertezza del vivere, lo sradicamento dagli affetti, dai profumi e dalle sicurezze dell’infanzia ma, nonostante ciò, questo tema viene affrontato con un mix vincente di profondità e leggerezza, che trasforma una foresta intricata e irta di ostacoli in un giardino rigoglioso ricco di opportunità “altre”, che Ho’oponopono invita Tecla a vivere. Come sei riuscita in questa titanica impresa?
Il precariato, che attraversa la mia vita, somiglia a quello di centinaia di migliaia di esseri umani, non solo insegnanti. Non è semplice parlarne e non correre il rischio di incorrere in un manifesto patetico degli orrori. E allora Tecla diviene un personaggio scanzonato, ma riflessivo, con lo sguardo attento sul mondo e sugli altri. Anche quando smette di sognare in realtà sta già provando ad andare oltre per sopportare il formicaio in cui è costretta a vivere. E tutto diventa un gioco a rincorrersi, le mattine fredde, il supermercato, le lavatrici, gli alunni, le colleghe, gli amori.
Tecla, Ho’oponopono, gli attori non protagonisti, Luisa, Teresa e la malattia che entra in scena e che, anche, la protagonista ha vissuto ed esorcizzato, riappropriandosi dei piccoli piacere della vita attraverso le esperienze dei ragazzi che, come insegnante di sostegno, segue e le fanno avere una visione straordinaria dell’ordinario e, ancora, Luigino, Ludovico, l’amore certo che non dà più emozioni, Matteo il fugace che la fa vibrare e l’ultimo, quello in divenire del misterioso vicino, Riccardo, con cui ha un tenero scambio di messaggi e una romantica danza di corteggiamento attraverso i libri, possono essere considerati ciottoli necessari di un percorso accidentato che rafforza la protagonista, facendole scoprire chi è e cosa realmente vuole?
Ma lo sai che è proprio bello farsi intervistare da te? La tua domanda è già la sinossi del libro! Ho’oponopono diviene l’amico interiore della protagonista, delicato e forte, un portatore di storie che si intrecciano con la vita di Tecla. Luisa ad esempio, ma anche Rossandra. Sta in punta di piedi, ma sa fare un salto nei momenti giusti. Un movimento che permette a Tecla di tirar fuori le sue civetterie, i suoi ricordi, ma anche il dolore della perdita. Teresa, Giusina cara, è la zia che ho perso e che mi piacerebbe ancora avere al mio fianco, alla quale poter narrare la mia passione viscerale per il sostegno e per le tante fatine e i tanti folletti che ho incontrato in questi anni a scuola. Gli amori necessari e quelli contingenti sono per Tecla linfa vitale, speranza, sogno. Anche quando suo malgrado dovrà accettare la fine del suo più grande amore. Lo sai che sei splendida?
Io sono di solito “rimbamband”, ma questo vostro libro mi ha ispirato, entrandomi dentro. Cara la mia Mari, è facile fare belle interviste quando il materiale umano e letterario è di prim’ordine. Possiamo dire che, come per la Sally di Vasco Rossi, anche per Tecla, forse, non è stato tutto sbagliato?
Il romanzo proprio alla fine spalanca le porte della possibilità. Ho’oponomo trasgredisce alle sue regole e Tecla si lascia cullare dalla libertà. Si possiamo dirlo, alla fine tutto non è stato sbagliato, anzi…
Mie adorate scrittrici vi ringrazio per questa bella chiacchierata e consideratemi la vostra Ho’ponopono tra le intervistatrici. Per scoprire ancora di più su Tecla e Ho’oponopono, l’appuntamento è alla presentazione di “Diario inquieto di un’insegnante precaria”, venerdì 29 novembre nella Sala Lanza dell’Orto Botanico di Palermo. Mari e Maria Grazia dialogheranno con Mario Azzolini, giornalista Rai, e con me, la curiosa impicciona che conoscete. Il momento della lettura sarà a cura di Viviana Lombardo e Domenico Bravo, le musiche di Gloria Liarda e, ciliegina sulla torta, una sorpresa finale.