Una riflessione sulla mafia con un occhio all’antimafia. L’argomento negli ultimi anni rimbalza di bocca in bocca. Prima il bisbìglio, poi le tensioni tra le associazioni, i post su Facebook (rigorosamente senza nomi e cognomi) ed infine i libri. Il percorso senza dubbio verrà studiato nei prossimi decenni, ma ad oggi sono in tanti a chiedersi: dove stiamo andando? Il metronomo individuato dagli addetti ai lavori è lo stato dell’arte dei beni confiscati. I miliardi non si contano più. A inizio gennaio la Calcestruzzi Belice è fallita per un debito di 30 mila euro e in molti sono tornati ad interrogarsi sulla gestione delle aziende sottratte alla criminalità.
In questi giorni a Palermo sono giunti il ministro del’Interno, Marco Minniti, il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone per un convegno con il gotha della lotta alla criminalità nell’aula magna di Giurisprudenza dell’Università. “Contro le mafie: a che punto siamo?”. Al tavolo anche Francesco Forgione e Costantino Visconti, autori di due libri pungenti sul mondo dell’antimafia. A moderare l’incontro – ça va sans dire – il condirettore del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi personaggio discusso di cui si è occupata l’ultima relazione sui rapporti tra Mafia e Informazione della commissione Parlamentare Antimafia. Il messaggio è chiaro e univoco: la vecchia Cosa Nostra è stata sconfitta ma adesso le mafie mirano al “Mondo di Mezzo” fatto da colletti bianchi, politica e imprenditoria.
La nuova sfida mira ai conti corrente dei boss. Ai mercati illegali fatti di imprese costantemente ricapitalizzate. Ai capitali raccolti illecitamente negli anni settanta, ottanta e novanta e ai traffici tuttora in corso. “L’utilizzo dei beni confiscati è di per sé un’azione di contrasto alle mafie – dice Cantone – non si deve avere paura di disfarsi dei beni sottratti alle cosche che non sono realmente utili, di venderne qualcuno e utilizzarli sì in una logica sociale ma che sia anche di tipo economico. Credo sia una grande idea quella di affidare i beni alle cooperative come accaduto nella mia regione, per creare occasioni di lavoro. I beni confiscati devono essere un’occasione e non un’ulteriore ragione di spesa per le istituzioni”. L’argomento è caldo e pochi giorni fa il vice ministro dell’Interno, Filippo Bubbico aveva detto “lì dove non è possibile venderli lo Stato deve distruggerli”. Ma fin qui si parla dei beni mobili e immobili.
Poi ci sono le aziende. Fra Trapani e Agrigento ad esempio era stata progettata una “rete del calcestruzzo” che non è mai decollata. Del progetto promosso da Unioncamere e Libera faceva parte anche la Calcestruzzi Belice ma da oltre due anni sembra arenato. Il nuovo codice Antimafia dallo scorso 27 settembre è all’attenzione della Commissione Giustizia del Senato. L’approvazione modificherebbe l’ossatura del sistema di gestione dei Beni Confiscati. “Se dovessimo fare un bilancio dell’azione dello Stato contro le mafie – dice il Ministro dell’Interno, Marco Minniti – dovremmo dire che è straordinario, perché sia Cosa nostra che le altre mafie hanno subito colpi inimmaginabili: l’elenco dei latitanti è drasticamente diminuito, esponenti di spicco sono al 41bis, l’attacco ai patrimoni, cuore economico delle organizzazioni mafiose, è stato messo a dura prova e abbiamo fatto dei passi in avanti sulla consapevolezza del fenomeno. Se dovessi dire, però, cosa manca e quale è il punto di fragilità direi che è l’incontro tra questa risposta e un radicato movimento popolare contro le mafie”.
Si è tornato a parlare di “carrieristi dell’antimafia”. Politici, giornalisti, imprenditori. Dalla storia di Pino Maniaci, direttore di Telejato, a quella di Antonello Montante (in foto), presidente regionale di Confindustria attualmente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di Prevenzione di Palermo passando fino a certe “truppe giudiziarie di assalto”. “Siamo arrivati ad un punto in cui bisogna tirare una riga per terra, se vogliamo arrivare ad avere piena sintonia tra Stato e istituzioni che contrastano la mafia con gli strumenti della legge e le metodiche investigative e dall’altro un Movimento che creda nella sconfitta definitiva della mafia, noi dobbiamo fare i conti anche con le cronache di quanto è accaduto in questi anni. Arrivano dei momenti in cui bisogna fare i conti con la storia e si arriva ad un punto in cui bisogna fare chiarezza, perchè la chiarezza sul passato ci farà più forti per il futuro”. Ad ascoltare c’erano uomini e donne impegnate quotidianamente nella lotta alla mafia e tanta società civile: Dal Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi ai comandanti di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, fino agli amministratori giudiziari. E il 2017 sembra il momento giusto.