Il nostro piccolo tour tra le Tavolate di San Giuseppe continua, grazie alle indicazioni dei nostri affezionati lettori. Ci scusiamo per tutte le altre belle realtà che non citeremo, ma la nostra Isola è veramente un meraviglioso scrigno prezioso e ci si trova costretti a fare una cernita.
A Valguarnera Caropepe (EN), la Festa di San Giuseppe viene preceduta da un Novenario, le cui meditazioni vengono guidate dal Parroco che invita i fedeli a riflettere sulla figura del Santo, uomo giusto, cavaliere della fede e protettore della famiglia. Si prega il Patriarca per le famiglie, il popolo tutto, i benefattori, gli emigrati e gli ammalati. Le Tavole di San Giuseppe di Valguarnera Caropepe, per la loro peculiarità, sono uniche in Sicilia e la loro preparazione, della durata di 10, 15 giorni, richiede la collaborazione di parenti e amici che aiutano a cucinare tutte le pietanze che le imbandiranno. La Tavola in legno, ha una forma di scala di 4/5 gradini, lunghi circa 3/4 metri, e un grande tavolo alla base ricoperto con tovaglie di lino finissimo e ricamate. Le pietanze sono strettamente legate alla tradizione culinaria della festa e tra queste: la pasta con il miele, la pagnuccata (pignolata con il miele), i cannoli con la ricotta e la crema, le sfinge, le cassatele, il torrone, le mandorle confetti, le fritture di finocchietti, spinaci, mozzatura, broccoli con sopra una spolverata di mollica. Il protagonista assoluto è il pane, che preparato dai panificatori locali con farina di grano e modellato in varie forme che rappresentano altrettanti simboli come gli attrezzi del falegname quali la sega, il martello, la scala o, ancora, l’ostensorio, gli angeli adoranti, l’uva, l’asinello, viene spennellato di uovo, da una pioggia di “paparina” (semi di papavero) e messo in forno. Forme di dimensioni più piccole sono i Pupiddi ri San Giuseppe, distribuiti sia nelle Tavolate, che in chiesa dove viene allestita la Tavolata principale.
A Marettimo (TP), per festeggiare San Giuseppe è tradizione fare la Duminaria, alla vigilia del 19 marzo, che consiste nell’accendere un falò o Vampi di San Giuseppe, l’uno vicino all’altro in onore di Gesù, Giuseppe e Maria. Al pranzo tradizionale, preparato la mattina del 19, oltre la Sacra Famiglia, impersonata da tre persone scelte fra le meno agiate dell’isola, partecipano tutti gli abitanti; coloro che, per impedimenti, non possono essere presenti, vengono serviti a casa. Nel pomeriggio i devoti si dividono in due gruppi: uno si dirige in Chiesa e l’altro si ferma al suo esterno. Una volta chiuso il portale i fedeli rimasti fuori cominciano a bussare, mentre dall’interno chiedono: ”Chi cercate?” Dopo tre volte il portone viene aperto, la statua di San Giuseppe compare sulla soglia e inizia una pantomima che vede chi si trova all’interno della chiesa impegnato a trattenere la statua del Santo, mentre chi è rimasto all’esterno a portarla fuori. I festeggiamenti si concluderanno con la processione.
A Monreale (PA), la festa di San Giuseppe è molto sentita per la presenza della congregazione dei falegnami. Tra le tradizioni più pregne di significato quella del Sacro Manto e l’Altarino di San Giuseppe. La prima prevede, al fine di ricordare i 30 anni che San Giuseppe trascorse assieme a Gesù, la recitazione delle preghiere del Sacro Manto per 30 giorni consecutivi. L’Altarino di San Giuseppe, invece, è costruito nella casa di chi ha chiesto o ottenuto una grazia. L’ornamento principale è il pane stretto e secco, decorato come un ricamo. Distaccata dall’altare c’è la Tavolata con pani, arance, finocchi, pignolata, acqua, vino e candele accese. Il pranzo comincia con spicchi d’arancia, per poi continuare con pasta al sugo “ca muddica”, mollica di pane grattugiato, abbrustolita e mischiata a formaggio piccante, pepe e zucchero. Numerosi canti, di cui il più antico è formato da 23 strofe in siciliano.
A Leonforte (EN), dal pomeriggio del 18 e per tutta la notte, si “giranu l’artara”, le tavolate votive riccamente imbandite col pane di San Giuseppe, primizie stagionali e dolci. Ai visitatori, che è bello definire pellegrini, vengono offerti: carduna, sfingi, vino, fave, e pupidda, mentre vengono recitate i “raziuneddi”, che sono delle preghiere dialettali in cui è raccontata la vita di Gesù. Le tavolate, nate con il fine di saziare i meno agiati, conservano tuttora lo spirito di grande socialità e, infatti, tutto il quartiere, dove abita la famiglia che le allestisce, aiuta a preparare l’altare. Il 19 San Giuseppe viene portato solennemente in processione accompagnato da migliaia di fedeli, di cui alcuni scalzi e moltissimi con in mano le “torce”, grandi ceri votivi per una promessa o per grazia ricevuta.
A Santa Croce Camerina (RG), la celebrazione della festa di San Giuseppe risale al 1832, quando il Barone Guglielmo Vitale, dopo la sua morte, lasciò alla Chiesa Madre la rendita di tre vignali per solennizzare la festa del Patriarca. In questa occasione si preparavano grandi tavolate, le “Cene”, che ancora oggi vengono offerte al Santo per devozione o grazia ricevuta. Su una coperta variopinta, che fa da cornice alla tavolata, si fissano delle arance amare e dei limoni; al centro si pone un piccolo altare col quadro raffigurante la Sacra Famiglia, davanti a cui viene accesa “a lampa“, una lampada ad olio e ai lati “u lauri”, il grano fatto germogliare al buio. La tavola viene imbandita con piatti della tradizione: “baccalà”, “polpette di riso”, “frittate agli asparagi”, “pastizzi” di spinaci e uva passa, dolci come “cubaita”, “torrone”, “scaurati”,”cicirieddi”,”mastazzola”, “mustata” e, ancora, primizie e fiori profumati quali “fresia e balicu”. L’elemento principale della tavola è il “pani pulitu“, il Pane di San Giuseppe, dalle forme simboliche, lavorato e decorato da mani abili ed esperte, entrato a far parte dei beni immateriali della Regione Sicilia con decreto n.8184 del 4 Novembre 2005. Ai tre Santi viene servitala “a principissedda”, la tipica pasta di San Giuseppe.
A Baucina (PA), la festa di San Giuseppe si svolge la domenica antecedente il 19 Marzo. A mezzogiorno, dopo la messa, si ricorda la fuga in Egitto a seguito della quale sarà aperta la “tavulata” in cui si possono ammirare le primizie e tantissimi dolci. La rappresentazione viene scandita dalla ricerca dell’alloggio e vede san Giuseppe che chiede un’ospitalità che gli viene rifiutata per ben due volte. In un ultimo tentativo, fatto su richiesta del piccolo Gesù, la proprietaria di casa, che prima aveva scacciato i tre, decide finalmente di chiedere la loro identità e, al sentire i loro nomi, esclamare: “Datu ca siti Gesù, Giuseppi e Maria, siti li benvenuti ‘na casa mia”. La Tavolata viene aperta e ai visitatori viene offerto il pane benedetto di San Giuseppe. Nel pomeriggio solitamente si svolgono la sagra della sfincia e le esibizioni dei gruppi folcloristici e, infine, intorno alle 20 la distribuzione dei cibi presenti nella tavolata. I momenti rituali come la benedizione del pane, la fuga di San Giuseppe, la consumazione del banchetto, sono tutti elementi che affondano le proprie radici nel mondo pagano, dove avevano valenza propiziatoria.
A Lascari (PA), la Festa di San Giuseppe costituisce un appuntamento ricco di simbolismo e forte spiritualità. Sino agli anni ’70, gli abitanti di Lascari, come segno di devozione al patriarca San Giuseppe o per grazia ricevuta, allestivano le tavole, riccamente imbandite, nelle proprie case che aprivano a tutta la cittadinanza a cui venivano offerti i cibi tipici della festività. Ancora oggi questa tradizione è presente, anche se in altra forma e, infatti, il Comune, con l’aiuto di altre associazioni cittadine, allestisce, nel centro del paese, una tavolata lunghissima che copre l’intera via Libertà e consta di circa 350 posti a sedere, in cui sia gli autoctoni, che gli abitanti dei comuni limitrofi, in vari turni, hanno la possibilità di gustare alcuni piatti tra cui “i cassateddi” di ceci, tipici dolci lascaresi. Durante il banchetto era usanza servire per primi i “Virgineddi“, i bambini che avessero da poco ricevuto la Prima Comunione. Da qui il nome dato alla tavolata.
A Calatafimi (TP), il Ceto dei Borgesi di San Giuseppe, detti anche “Sangiusippara“, festeggia il Santo innalzando un maestoso Altare di Pani. Ogni anno effettuano una raccolta di offerte e, quindici giorni prima della festa, offrono il tradizionale “Cucciddato“, precedentemente benedetto. L’altare realizzato all’interno della chiesa del Purgatorio viene esposto al pubblico a cavallo del 19 marzo. La sera della festa si svolge la solenne processione durante la quale il Santo viene portato sulle spalle dai devoti e omaggiato dal ceto e dalla cittadinanza che partecipa, pregando. Il Ceto dei Borgesi di San Giuseppe che, chiamato anche dal popolo Calatafimese “Mercurianti“, poiché solennizzavano il mercoledì, mette le proprie tradizioni in mostra all’interno della chiesa del Purgatorio. Il Santo da cui prendono il nome spiega chiaramente quale è lo scopo di questa associazione ovvero il secondo mercoledì prima di S. Giuseppe diffondere il culto e la devozione al Padre putativo di Gesù.
A Villabate (PA), San Giuseppe è il suo amato patrono, protettore degli orfani, delle ragazze nubili e dei poveri. A questa data è legato l’equinozio di primavera che scaccia la stagione fredda e magra e accoglie giornate sempre più calde e copiose. I racconti narrano di un mendicante, Giuseppe, che chiede l’elemosina davanti a una bottega di un povero falegname che, essendo sprovvisto di pane, gli regala un bicchiere d’acqua. Giuseppe, sorpreso da tanta bontà, lo ringrazia e, andando via, trasforma dei trucioli di legno, davanti la bottega, in piccoli pezzi di pane. Nelle tradizioni popolari è, infatti, proprio il pane, di forma tonda, con una croce incisa sulla parte superiore e arricchito di finocchietto selvatico, simbolo di questa festa, a essere donato a tutti coloro che si fermano a pregare davanti agli altari “cunzati“ in vari rioni. Immancabile sulle tavole: la pasta con le sarde e le sfince di San Giuseppe. Una leggenda racconta che la sfincia era preparata dalla suocera alla nuora per cercare di “addolcirla”. Dopo l’abbuffata tutti in piazza a guardare la “Vampa” piena di roba vecchia che, bruciando, lascia spazio alle novità.
A Carini (PA), il 16 e 17 marzo, in piazza Duomo si svolge la Terza edizione della “Sagra della Sfincia” di San Giuseppe in cui potrete degustare questi dolci della tradizione che altro non sono che morbide frittelle ripiene e ricoperte di una delicata crema di ricotta con gocce di cioccolato, pistacchi tritati, ciliegie e scorze d’arancia candita e, ancora, prodotti tipici come la ricotta calda. Oltre a partecipare ad antichi giochi come il Palo della cuccagna e i pignatelli, durante la manifestazione sarà i possibile visitare le tradizionali i “tavulati ri San Giuseppi“, allestite con grande devozione. Tra le iniziative in programma, visite alla Chiesa degli Agonizzanti, all’Oratorio del Santissimo Sacramento, al Castello La Grua Talamanca, celebre per la triste storia della Baronessa di Carini, alla Catacomba di Villagrazia di Carini che, con i suoi oltre 3.500 mq di superficie scavata, si configura come una delle più importanti testimonianze del cristianesimo delle origini in Sicilia e alla Grotta di Carburangeli, una riserva naturale integrale di elevato interesse speleologico, paleontologico, biologico e archeologico.
Chiudiamo con una preghiera in siciliano dedicata a San Giuseppe:
San Giusippuzzu vui siti lu patri
Vergini e puru comu la matri
Maria la rosa
Giuseppi lu gigghiu
Datimi aiutu tra peni e perigghiu
Unn’a scurari sta iurnata senza essiri cunsulata
P’u bambineddu c’aviti ‘mbrazza
Patri ranni facitimi a razia
E pi l’amuri di Maria
Facitila a mia
Viva San Giuseppe e le bellissime tradizioni della nostra Sicilia.
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