È estate Roberto, di quelle estati che sembravano non finire mai. I nuovi libri, le presentazioni, il caldo e i luoghi che ti attendevano per presentare il tuo nuovo lavoro. Che verrebbe voglia di urlare quel “Suca” alla morte e chiedergli di tornare indietro, di cambiare strada, di lasciarti ancora qui con noi. Come in un film di Dreyer coi belati che si attaccano allo stomaco.
È estate…ti ricordi quando nell’agosto del 2011 preparammo lo spettacolo dei pupi di Angelo Sicilia sui fatti del 20 Gennaio a Caltavuturo? Quando i contadini furono trucidati dall’esercito di Crispi proprio sulle terre della tua amata Caltavuturo? Moffo Schimmenti compose le musiche e tu cantasti, per noi, assieme a Francesca Martino. A pensarci bene, Mauro, tuo figlio era ancora piccolo e già suonava divinamente.
È estate Roberto, di quelle che somigliano all’agosto dell’anno scorso, quando tu presentasti il mio ultimo libro. Alla fine ci pentimmo, io e Maria Grazia, di non aver registrato la tua voce e quelle parole che sapevano scavare dentro ogni cosa, soprattutto dentro di noi. Ci sembrò un dono di immane bellezza.
Ma da oggi è arrivato l’inverno all’improvviso e quel gelo che conosciamo bene noi madoniti, il freddo nelle ossa che immobilizza gli arti e fa arrossare il naso e le gote. Si, sei stato capace di immobilizzarci tutti dentro ad un incubo, per usare le parole di un amico che, come me, ti ha voluto bene, il nostro Vincenzo Pinello.
E tu per me non sei stato il professore che tutti hanno amato all’Università di Palermo, né un collega apprezzato e stimato. Tu sei stato la narrazione di chi ha saputo essere tante cose assieme. Un grande studioso con il pallino per l’umiltà, un intellettuale appassionato di cultura popolare e musica, con una voce bellissima che si attorcigliava sulle scale a chiocciola del sapere.
È un gran peccato Roberto che tu sia andato via, in punta di piedi e con il garbo che ti ha sempre contraddistinto. È un peccato che un uomo come te non possa più continuare a studiare, analizzare il nostro dialetto per consegnarci ancora le sue meraviglie. La Sicilia perde un uomo di cui aveva ancora un immane bisogno. Quando la morte viene a prendersi una testa, prima che un corpo, allora è impossibile accettare la fine, questa fine e si urla reclamando altro tempo.
Il tempo largo e amplificato, quello vissuto ogni istante e non quello lineare a cui siamo abituati ogni giorno. Le dimensioni che il tramonto della ragione non conosce. Ma una cosa te la posso dire? Nell’incredulità che non riesce ancora a farci accettare il tuo nuovo viaggio, qualcosa accadrà. Certo, te lo dobbiamo dire, ci hai stupiti questa volta e anche sconvolti all’idea di non vederti più, ma chi siamo noi per non accarezzare l’idea che la pace sia meglio dell’irrequietezza?
Ed io ti vedo in questa nuova avventura abbracciare Eugenia e Mauro e forse tutti noi che abbiamo avuto il grande “prio” di passeggiarla un po’ con te questa vita. Passeggiarla da intellettuali stralunati che indagano e non sono mai paghi. Con la testa in aria e gli occhi rivolti sempre in alto. Teste ntallaria…è così che si scrive prof? Dove mancano gli accenti?