In Sicilia il lavoro domestico è una necessità quotidiana che incrocia due fragilità: da un lato, l’invecchiamento costante della popolazione, con sempre più anziani non autosufficienti; dall’altro, l’assenza di politiche pubbliche strutturate per garantire assistenza e cura. A colmare questo vuoto sono soprattutto le donne, italiane e straniere, spesso invisibili, che svolgono mansioni di cura e collaborazione domestica in un sistema segnato da precarietà e irregolarità.
Secondo il terzo rapporto “Family (Net) Work 2025” di Assindatcolf e curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, la Sicilia nel triennio 2026-2028 avrà bisogno ogni anno di circa 1.885 nuovi lavoratori domestici (colf e badanti), di cui oltre la metà stranieri, prevalentemente non comunitari.
Ma nonostante l’incremento del fabbisogno, l’Isola è tra le regioni con le percentuali più basse di ricorso ad assistenza a pagamento: solo il 26% degli anziani che necessitano di aiuto si avvale di servizi retribuiti, a fronte del 41% nel Nord.
Tra reti familiari ancora resistenti, salari bassi, lavoro sommerso e una legislazione nazionale che ostacola più che regolare, emerge un quadro critico ma cruciale per il futuro del welfare informale. Il report IDOS offre stime scientifiche che potrebbero costituire la base per una nuova programmazione dei flussi migratori, ancorata alla realtà sociale dei territori. In Sicilia, più che altrove, diventa urgente riconoscere e integrare questo lavoro essenziale. E restituirgli dignità, visibilità, diritti.
Nelle case dell’assistenza invisibile
Ogni mattina, in una casa siciliana come tante, c’è una donna che sistema le stoviglie del giorno prima, apre le finestre, controlla le medicine ordinate sul tavolo. Ha superato i cinquant’anni, viene dalle Filippine, e da anni lavora come collaboratrice domestica. La signora che assiste ha 82 anni, vive sola, e come il 79% degli ultraottantenni in Italia abita in un appartamento silenzioso, scandito da gesti lenti e rituali quotidiani. In Sicilia, le famiglie composte esclusivamente da anziani rappresentano una parte significativa del tessuto sociale: su quasi 6,9 milioni di famiglie di soli over 65 in Italia, il 10,5% si concentra nelle Isole. Tra queste, molte sono affidate a una presenza discreta ma fondamentale: colf e badanti.
Nel 2024, secondo i dati INPS riportati dal rapporto IDOS, 364.011 lavoratori domestici erano impiegati in famiglie con almeno un ultra65enne. Di questi, il 90,9% è donna, e due terzi sono straniere. Eppure, solo il 4,5% delle famiglie anziane italiane si avvale formalmente del loro supporto: una percentuale che scende al 2,5% per i 65-79enni, ma sale al 7,9% per gli ultraottantenni, con punte dell’11,6% nelle famiglie composte da più anziani.
In Sicilia, il ricorso ad assistenza a pagamento da parte di anziani non autosufficienti si attesta attorno al 26%, tra le quote più basse del Paese. Questo dato riflette un tessuto familiare ancora esteso, ma anche un maggiore ricorso al lavoro informale. La figura della badante, spesso straniera, resta in bilico tra necessità e invisibilità, tra presenza quotidiana e assenza giuridica. Il comparto del lavoro domestico, che include assistenza e cura alla persona, è storicamente uno dei più sommersi e meno regolati d’Italia. Ma proprio per questo è anche uno dei più bisognosi di attenzione.
Il lavoro domestico in Sicilia: numeri, squilibri, prospettive
Nel 2026, secondo la stima contenuta nel Rapporto Family (Net) Work 2025, il fabbisogno complessivo di lavoratori domestici in Sicilia sarà pari a 193.800 unità, suddivise tra 67.200 badanti e 126.600 collaboratori familiari (colf). Di questi, il 49,2% delle badanti sarà di cittadinanza straniera: una delle quote più basse in Italia, insieme a Sardegna, Molise e Calabria. La proporzione tra italiani e stranieri nel settore rispecchia un contesto regionale in cui è ancora forte la presenza di lavoratrici italiane impiegate nel comparto domestico, in controtendenza rispetto a regioni come Lombardia o Emilia-Romagna.
Il rapporto rileva anche che in Sicilia si registra un fabbisogno aggiuntivo medio annuo, nel triennio 2026-2028, di 1.885 unità, di cui 1.003 di cittadinanza straniera e 882 italiane. La crescita della domanda, seppur contenuta rispetto ad altre regioni, è significativa in un territorio che mostra ancora resistenze all’impiego regolare di lavoratori nel settore. Solo il 26% degli over 65 con necessità di assistenza ricorre a un aiuto retribuito, ben al di sotto della media nazionale.
A livello strutturale, la Sicilia presenta un indice di vecchiaia elevato, con una popolazione anziana in crescita costante. Le famiglie composte da soli anziani ultraottantenni, in particolare, sono spesso caratterizzate da isolamento abitativo e necessità di supporto, eppure solo una minima parte si affida a figure professionali retribuite. Questo suggerisce l’esistenza di un’ampia fascia di bisogno latente, che resta fuori dai circuiti formali.
Il dato più rilevante riguarda la distribuzione interna: in Sicilia la figura della colf è molto più diffusa rispetto a quella della badante, a differenza di quanto avviene nel Nord Italia. La preferenza per un supporto generalista, piuttosto che per un’assistenza specializzata alla persona, potrebbe riflettere sia una diversa organizzazione familiare sia un minore accesso ai servizi sanitari territoriali.
Infine, è importante sottolineare il ruolo cruciale che le donne migranti giocano in questo sistema: la maggioranza di loro ha tra i 40 e i 64 anni, proviene principalmente da Romania, Ucraina e Filippine, e lavora in condizioni spesso segnate da precarietà, invisibilità, o irregolarità. Il lavoro domestico, come emerge chiaramente dal rapporto IDOS, è un settore fondamentale per la tenuta sociale della Sicilia, ma ancora privo di un riconoscimento pieno in termini di diritti e tutele.
La cornice nazionale e l’esclusione del settore
Il lavoro domestico è storicamente escluso dalle rilevazioni ufficiali sul fabbisogno di manodopera. L’indagine Excelsior di Unioncamere, che informa le decisioni dei Decreti Flussi, considera solo le imprese e ignora completamente il comparto delle famiglie, dove operano colf e badanti. Una scelta che, secondo il rapporto IDOS, ha prodotto una grave distorsione: il comparto che impiega circa il 70% di lavoratori stranieri non è rappresentato nella programmazione migratoria.
Fino al triennio 2023-2025, solo sporadicamente i Decreti Flussi hanno previsto quote dedicate al settore domestico. Quelle stabilite sono state spesso del tutto insufficienti: ad esempio, nel 2025 è stata introdotta una quota aggiuntiva di 10.000 ingressi, gestita da associazioni datoriali, per correggere una sottostima iniziale. Ma si tratta ancora di interventi straordinari, non fondati su stime scientifiche.
Le difficoltà sono anche normative: la legge Bossi-Fini del 2002 ha eliminato il permesso per ricerca lavoro e legato il permesso di soggiorno alla firma del contratto, con conseguenze dirette sul settore domestico, dove l’assunzione avviene spesso in ambito privato e informale. Il risultato è una spirale che alimenta il lavoro nero e accresce il potere contrattuale dei datori, specialmente in contesti di bisogno urgente come la cura degli anziani.
Secondo IDOS, solo una frazione dei lavoratori per cui è stato rilasciato un nulla osta riesce a ottenere effettivamente un permesso di soggiorno: molti si perdono nei ritardi burocratici o in assunzioni fittizie create per facilitare l’ingresso nel Paese. Il lavoro domestico, quindi, resta ai margini non per assenza di domanda, ma per mancanza di strumenti di gestione realistica e trasparente.
Le trappole dell’irregolarità e le difficoltà delle famiglie
Il comparto del lavoro domestico è uno dei più colpiti dal fenomeno dell’irregolarità. Secondo l’Istat, nel 2022 il tasso di lavoro sommerso nei servizi alla persona ha raggiunto il 45,4%. Una percentuale che il rapporto IDOS considera cruciale per comprendere la forbice tra il fabbisogno reale e quello formalmente rilevato.
In Sicilia, il divario tra bisogno e accesso a servizi retribuiti è ampio. Le famiglie spesso non possono permettersi una regolare assunzione: la procedura di chiamata nominativa è complessa, richiede costi per l’asseverazione della sostenibilità economica e impone la verifica preventiva dell’assenza di manodopera già presente in Italia. Il silenzio-assenso dei Centri per l’impiego dopo otto giorni non basta a garantire tempi certi, e in casi di emergenza è comune il ricorso a soluzioni informali.
Il report evidenzia anche le distorsioni create dai Decreti Flussi, spesso usati come strumento di regolarizzazione posticipata per rapporti di lavoro già in essere ma nati in nero. Un sistema che produce vulnerabilità giuridica per i lavoratori e dipendenza delle famiglie da pratiche opache. Molti lavoratori non comunitari arrivano in Italia con un contratto fittizio e, una volta ottenuto il visto, il rapporto si scioglie rapidamente, lasciandoli senza tutela.
La rigidità normativa si traduce in una maggiore discrezionalità per il datore di lavoro, che può decidere se e quando formalizzare l’assunzione. In un settore dove il luogo di lavoro è anche l’abitazione privata, questo squilibrio produce effetti concreti: salari bassi, orari prolungati, assenza di ferie, contributi non versati.
Le famiglie, dal canto loro, sono spesso vittime della stessa inefficienza: alle prese con bisogni urgenti (un genitore malato, un parente disabile), si trovano costrette a scegliere tra irregolarità o attese incompatibili con le esigenze quotidiane. In Sicilia, dove il reddito medio è più basso e la rete di servizi pubblici più debole, questa pressione si acuisce.
Politiche necessarie: urge un cambiamento di sistema nel settore
Il rapporto IDOS suggerisce l’urgenza di un cambiamento sistemico nelle politiche di gestione del lavoro domestico. In primo luogo, occorre includere il comparto familiare nelle rilevazioni ufficiali sul fabbisogno di manodopera, così da fondare le quote migratorie su stime realistiche. Il lavoro domestico non può più restare escluso dalla programmazione dei flussi.
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Altro punto è la separazione tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno: il legame attuale produce precarietà e favorisce la caduta nell’irregolarità. Un permesso autonomo per chi già vive in Italia eviterebbe che la perdita del lavoro comporti automaticamente la perdita dello status legale.
Infine, servono strumenti di sostegno alle famiglie: incentivi economici per l’assunzione regolare, servizi di intermediazione pubblici o convenzionati, semplificazione burocratica. Il lavoro domestico è un nodo cruciale del welfare reale, e riconoscerlo come tale è il primo passo per trasformarlo in un ambito giusto, trasparente e sostenibile.
Ridare dignità al lavoro domestico: un dovere di giustizia e coesione sociale
La Sicilia, come gran parte del Mezzogiorno, affronta una transizione demografica rapida e profonda. A fronte di un numero crescente di anziani non autosufficienti, il sistema di assistenza si regge su un equilibrio fragile, sostenuto in gran parte da lavoratrici domestiche, spesso straniere, spesso invisibili.
Dare dignità al lavoro domestico non è solo un dovere di giustizia sociale: è una necessità per il futuro della coesione, della cura, dell’equilibrio intergenerazionale della Sicilia e dell’Italia.
Fonte Dati: 3° PAPER-Rapporto “Family (Net) Work 2025”
Nota metodologica del rapporto
Il Rapporto Family (Net) Work 2025 del Centro Studi IDOS stima il fabbisogno di lavoratori domestici per il triennio 2026-2028 integrando dati Istat sulle previsioni demografiche con l’indagine EHIS 2019 sulle limitazioni funzionali degli anziani.
Vengono elaborati tre scenari (minimo, mediano, massimo), tenendo conto anche del tasso di irregolarità Istat (45,4%). L’incrocio con dati Inps 2023 consente la distinzione tra badanti e colf, italiani e stranieri, e il calcolo del fabbisogno aggiuntivo annuale. Il modello fornisce proiezioni utili a definire politiche migratorie e sociali basate su dati reali e territorialmente mirati.