La mattina del 9 maggio 1978 l’intera stampa nazionale titolava in lacrime il rinvenimento del corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, in via Caetani a Roma. Nelle stesse ore passava inosservata la morte di Peppino Impastato. Badalamenti aveva ordinato la brutale uccisione dell’attivista antimafia, ponendo una carica di tritolo sotto il suo corpo, adagiato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, mascherandolo come attentato fallito o suicidio.
Oggi, a 45 anni esatti dalla scomparsa di Impastato, la sua eredità è ancora pesante e la lotta alla mafia è, purtroppo, un tema all’ordine del giorno, da non tenere sottogamba. ilSicilia.it si è recato a Cinisi per ricordarlo, attraverso le parole del fratello, Giovanni Impastato.
“Ha lanciato un messaggio fortissimo anticipando i tempi. Le battaglie che Peppino portava avanti, quasi mezzo secolo fa – ha spiegato Impastato – sono attuali, sia nei contenuti che nei metodi“. Un esempio chiaro è la battaglia ecologica: si scagliò contro la mafia e la “cultura del cemento”, che in coincidenza con il boom economico saccheggiò e sfregiò il territorio palermitano. Se dovessimo fare un paragone, la figura di Greta Thunberg è abbastanza appropriata: l’attivista svedese con la sua battaglia per il clima ha suscitato un movimento a livello globale, toccando le coscienze di milioni di persone, Peppino nel suo piccolo agiva in un territorio circoscritto e dominato dalla cultura mafiosa. Un’attività di sensibilizzazione, la sua, che ha richiesto anni, se non decenni. “Il passaggio del testimone è avvenuto. Oggi le persone che lo ricordano non hanno conosciuto Peppino perché non erano nate. E’ avvenuta questa presa di coscienza da parte di molti giovani che condividono le sue idee e si riconoscono in lui“.
In questi giorni sono state tante le iniziative in sua memoria. Mostre fotografiche, cultura, musica, seminari e dibattiti: un programma davvero ricco, iniziato venerdì 5 maggio e che si concluderà proprio oggi con il corteo che partirà da Radio Aut (Terrasini) fino ad arrivare a Casa Memoria (Cinisi).
Più che mai quest’anno tutti questi appuntamenti hanno una forte simbologia. L’arresto a metà gennaio di Matteo Messina Denaro ha permesso di aprire nuove riflessioni e acceso i riflettori su quella che più comunemente si definisce la ‘borghesia mafiosa’. Cosa Nostra negli anni ha dimostrato di essere fluida, capace di adattarsi magistralmente ai tempi. L’abbandono della realtà agricola, dove controllava campagne, acqua e raccolto, l’arrivo in città e la mutazione in mafia urbana, con nuovi orizzonti. Poi la trasformazione in mafia imprenditoriale, successivamente finanziaria, stragista e infine sommersa. L’arresto di Matteo Messina Denaro è lo scenario migliore per comprendere al meglio la nuova veste. “Oggi – ha detto Giovanni Impastato – possiamo parlare di borghesia mafiosa. Di colletti bianchi se n’è parlato in precedenza però molti non ci credevano. Il suo arresto sta a significare una cosa: non c’è soltanto un intreccio, come in precedenza, tra questi criminali e settori della borghesia mafiosa, ormai – aggiunge – i nuovi componenti della cupola fanno parte di questa stratificazione sociale. C’è un potere attivo da parte della borghesia vera e propria“.
L’attivista antimafia, il militante politico ma anche l’artista, l’ecologista e il giornalista. Peppino aveva tanti volti ma il fratello Giovanni ha deciso di affidarci, come ricordo, una sua versione inedita: quella di un ragazzo spensierato, scanzonato e con tanta voglia di divertirsi. “In un Carnevale, l’anno prima che venisse ucciso, scomparve. La sera – racconta – andammo in piazza e trovammo un clown che intratteneva i bambini piccoli. Era Peppino. E’ il ricordo più bello e che ancora oggi mi emoziona tantissimo“.
Quello che caratterizzava Peppino era una spiccata vena ironica, capace di intrecciarsi con un innato spirito sarcastico e satirico. Un’arma tagliente ed efficace, mai usata da nessuno fino a quel momento, che sfoggiava in diretta su “Onda pazza”, la trasmissione in onda sulla sua Radio Aut, prima radio libera siciliana che fondò nel 1977. Fu il primo caso di lotta alla mafia portata avanti con questo metodo, tanto naturale quanto irriverente. “Gaetano Badalamenti era soprannominato il ‘grande capo Tano seduto’, perché si ispirava alla cultura dei pellerossa. Il sindaco Geronimo Stefanini era il ‘grande capo Geronimo’, capo indiano. Il corso principale era ‘corso Luciano Liggio’. Cinisi diventava ‘Mafiopoli’. Queste cose – conclude Giovanni Impastato – hanno sconvolto i mafiosi perché li ridicolizzava. E’ riuscito a far ridere la gente alle loro spalle e questa non è una cosa di poco conto“.