La vostra Patti Holmes vi accompagna in un excursus, tra cinema e realtà, che toccherà, a tappe, le sette magnifiche sorelle eoliane, isole da “Settima Arte”. Il nostro viaggio, che visiterà i magnifici set che le hanno scelte come palcoscenico naturale, parte da Stromboli; ma prima di scoprire quali registi la scelsero conosciamola tra mito, leggenda e santità.
Stromboli, la più celebre, che prende il nome dal vulcano omonimo, Struògnoli in siciliano e Strongyle in greco, cioè rotondo, per la natura divina che un tempo gli veniva attribuita, è chiamato dai suoi abitanti, con reverenziale rispetto, “Iddu”, cioè “Lui”. Sulla sua origine, e sul perché si trovi di fronte alle coste tirreniche della Calabria e proprio in quello spicchio di mare, ci viene in aiuto una delle tante leggende che colora quello “Stretto” che unisce ciò che è separato e, allo stesso tempo, isola ciò che lo è già per definizione. Si narra che sul monte che sovrasta la cittadina di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, si presentò a Sant’Elia, (Elia di Enna, al secolo Giovanni Rachites, in greco “ίωάννης ῥαχίτης”, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa), un uomo dal volto nero, che altri non era che il diavolo.
Questi, aperto il grande sacco che portava sulle spalle, e dopo avergli mostrato una grande quantità di monete, gli raccontò di averle trovata in un casolare abbandonato e di volerle dividere con lui. Il santo, invece, prese le monete, cominciò a lanciarle e queste, rotolando, si trasformarono in pietre nere, quelle che ancora oggi si possono trovare sul monte. Il diavolo, contrariato, balzando in piedi e alzandosi in volo con grandi ali di pipistrello, che gli si erano aperte alle spalle, si tuffò nel mare, sprofondandovi. Dalle acque gorgoglianti e schiumanti si innalzarono delle nubi minacciose che, diradandosi, mostrarono un’isola a forma di cono dalla cui sommità incavata uscivano lingue di fuoco e fumo. Era lo Stromboli con il demonio imprigionato nelle sue viscere.
Sul “Monte Sant’Elia”, luogo dell’incontro, ancora oggi si trova un macigno con le impronte delle unghie lasciate dal diavolo prima di inabissarsi, mentre, di fronte, lo Stromboli continua a fumare la sua antica pipa. Lo Stromboli è stato, continua a essere e sarà, fonte d’ispirazione per il cinema e la letteratura. Jules Verne vi ambientò la conclusione del suo “Viaggio al centro della terra”, romanzo fantastico del 1864; un discorso a parte, invece, merita Friedrich Nietzsche. In un quaderno del 1882 in cui racconta di un suo viaggio in Sicilia, accenna più volte a un vulcano e a un sentiero che lo percorre e rimanda, probabilmente, a Stromboli e al suo possente Dio borbottante. In effetti la quarte parte di “Also sprach Zarathustra” presenta alcune indicazioni geografiche che suffragherebbero questa ipotesi. Ne riportiamo qui la pagina iniziale, nella bellissima traduzione di Liliana Scalero (Longanesi & C., Milano, 1972):
“C’è un’isola nel mare, poco lontana dalla beata isola di Zarathustra, su cui fuma in permanenza un vulcano; di essa dice il popolo (e in particolare le donnette del popolo) che è posta come un masso di roccia davanti alla porta degli Inferi; ma che attraverso il vulcano scende uno stretto sentiero che conduce a quella porta del mondo sotterraneo”.
Passando dalla letteratura al cinema, che è il nostro tema, a Stromboli dobbiamo accostare l’isola di Vulcano perché legate da due indimenticabili film: “Vulcano” di William Dieterle, prodotto dalla “Panaria Film” del Principe Francesco Alliata, pioniere della cinematografia subacquea, e uscito nelle sale il 2 febbraio 1950, con la straordinaria Anna Magnani e “Stromboli (Terra di Dio)” di Roberto Rossellini, anch’esso uscito nel 1950, con la bellissima Ingrid Bergman. Le due pellicole, girate contemporaneamente, ebbero grande eco internazionale perché la protagonista di Stromboli, in un primo momento, doveva essere Nannarella. L’attrice stava vivendo una tanto appassionata quanto tormentata storia d’amore con Rossellini che un giorno, però, ricevette una lettera che gli avrebbe cambiato il corso della vita:
«Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma Città Aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese e in italiano sa dire solo “Ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei” (Ingrid Bergman).
Il regista, colpito da questa dichiarazione, con grande nonchalance non solo regalò il ruolo che era della Magnani alla Bergman ma, grazie alla presenza della star, strappò “Stromboli” alla Panaria, che doveva produrlo, per farselo finanziare dalla Rko, Major cinematografica statunitense. Renzo Avanzo, che aveva condotto le trattative con la Panaria, non si arrese e servendosi di Anna Magnani mise in piedi una nuova produzione, chiamando a dirigerla il già citato William Dieterle. Si verificò così il caso, piuttosto anomalo, di due film girati in due set non lontani l’uno dall’altro e con un soggetto pressappoco identico. Il triangolo amoroso tra il regista e le due attrici, che appare come un film dentro il film, ed è passato alla storia come “la guerra dei vulcani”, ha dato il titolo all’omonimo documentario girato nel 2011 da Francesco Patierno che permette di ripercorrere una vicenda che tanto incuriosì le cronache internazionali.
Francesco Patierno ha realizzato una interessantissima opera che ha permesso di ripercorrere una vicenda che tenne in agitazione le cronache di mezzo mondo. Grazie infatti a un vastissimo materiale di repertorio viene offerta una lettura delle vicende, senza esclusione di colpi, che va oltre il documentario e, infatti, il regista con “La Guerra dei Vulcani“, partito da Venezia, ha poi fatto il giro di molti festival, conquistando un pubblico internazionale, anche perché ricostruisce una storia irresistibilmente italiana con un innesto “esotico”, la grande attrice svedese e hollywoodiana, di grande impatto. Un intreccio, di trama e ordito, che sembra un film e, invece, fu vita vera e sofferta. Al dolore di Anna Magnani nell’essere abbandonata come compagna, e nel non essere più musa dell’amato Roberto Rossellini, si contrappose la gioia della Bergman per essere diventata tutto ciò che l’altra era stata fino a quel momento.