La mafia torna a sparare a Palermo in un giorno simbolico: la vigilia del venticinquesimo anniversario della strage di Capaci.
Cosa nostra conosce bene simboli e rituali civili e l’aver agito oggi, con perfetto sincronismo, proprio mentre i riflettori di tutta Italia sono accesi e puntati su Palermo, non è certamente casuale. Anzi, è un atto voluto e studiato con meticolosa precisione. Il messaggio è chiarissimo: “Voi Stato celebrate l’antimafia e noi nel frattempo vi ricordiamo che la mafia esiste ed è ancora forte”. Messaggio diretto e preciso. Senza possibilità di fraintendimento alcuno.
Un’azione che suona come una sfida e che fa male. Anche perché a venticinque anni dalle stragi, il rischio (molto fondato) è che il ricordo si trasformi in passerella che non scalfisce minimamente chi deve fare affari criminali, ordinare esecuzioni, o mettere le mani su pubblici appalti. Non saranno certo gli show di Fabio Fazio e di Roberto Saviano a mettere paura ai delinquenti mafiosi. Ben altra cosa sono le indagini dell’antimafia – quella vera – dei magistrati e delle forze dell’ordine, che in questi anni hanno assestato colpi molto duri allo strapotere delle cosche. Ma non basta. Non può bastare.
Anche la politica deve fare la propria parte, perché – non nascondiamocelo – è viva e vegeta anche quella zona grigia di connivenze e occhiolini strizzati che vede certi uomini politici andare a braccetto con i “picciotti”: vecchia moda non ancora del tutto tramontata.
Le inchieste evidentemente non bastano, perché arrivano sempre un momento dopo che il reato è commesso. Per questo, la sfida è innanzitutto etica: la politica deve recidere il cordone ombelicale con la criminalità organizzata e con l’affarismo. Solo così potrà essere credibile quando celebra e ricorda i morti. Altrimenti diventa la tragica maschera di un film già visto, fatto di slogan buoni solamente per riempire i titoli di un giornale, ma del tutto privi di contenuto.
E poi, si garantisca la certezza della pena, che in Italia è ancora una chimera. Il boss assassinato a Palermo doveva essere dietro le sbarre per una condanna all’ergastolo e invece era libero.
Nel frattempo, l’omicidio di oggi ci ricorda che occorre non abbassare la guardia. La mafia esiste ancora ed è tutt’altro che sconfitta. Esiste e si prende gioco di un’Italia intera che si ferma nel ricordo di Falcone e Borsellino. Ecco, l’Italia intera oggi può e deve reagire. E nel farlo non dovrebbero esserci colori politici o differenze ideologiche.
Una guerra la si vince quando tutti quelli che si dicono appartenere a un medesimo esercito combattono dalla stessa parte. Altrimenti, è storia nota, fatta di serpi in seno e finti antimafiosi che in realtà combattono per il fronte avverso, quello dei criminali, che possono benissimo presentarsi anche in giacca e cravatta, giusto per apparire persone perbene. Smascherarli e stanarli è un dovere civico. A tutti i livelli.