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“In Sicilia accanto agli eventi tragici, agli omicidi degli uomini dello Stato, c’è stato un fatto ugualmente tragico: il rovesciamento della narrazione per una strumentalizzazione che per un verso è stata politica ed è stata collegata al disegno interno ed esterno all’Italia di cambiare l’assetto politico che ancora alle elezioni del 1992 era uscito vincente, ma che ha trovato anche fondamento e riferimento anche alla costituzione di un partito antimafia a Palermo, alcune volte composto da personaggi che dovevano lavare i panni sporchi che avevano in famiglia, altre volte da magistrati che hanno trovato l’opportunità di aggregarsi attorno a una funzione di criminalizzazione. Con i processi a Mannino e ad Andreotti si liquida la Democrazia Cristiana“.
Ad affermarlo a ilSicilia.it è l’ex ministro Calogero Mannino, che abbiamo intervistato, per chiedergli un commento sulle motivazioni della sentenza dei giudici d’appello, che lo hanno definitivamente assolto dal reato di “violenza e minaccia a corpo politico dello Stato” di cui era accusato nell’ambito del processo sulla cosiddetta “trattativa Stato Mafia”.
“Non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute – hanno scritto i giudici d’appello – ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a ‘cosa nostra’ quale esponente del governo del 1991″.
In merito alla cosiddetta “Trattativa Stato mafia“, l’ex ministro sottolinea il ruolo di Mori e Di Donno e ricorda che questi lavorarono a fianco dell’allora procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli: “è possibile che Mori e Di Donno avessero intrapreso una trattativa nell’ignoranza della procura di Palermo? – si chiede – E’ una domanda che si colloca in un processo che è ancora aperto. Si assiste con film diversi a un’unica arcata narrativa che mira a colpire Mannino. Mi chiedo perchè, oltre ai motivi che ho già spiegato”. E poi aggiunge: “Allora c’erano i post comunisti che ipotizzavano il taglio della Balena bianca, prendendosi alcuni Dc per governare il Paese e togliendo di mezzo altri democristiani”.
Infine ricorda: “Mannino è il politico che nella discussione parlamentare del marzo del 1980 della Camera dei deputati presenta una mozione nella quale si propongono punti che diverranno quelli strategici che anticipano l’introduzione del 416 bis (il reato di associazione mafiosa), che poi avverrà soltanto nel 1982, in un consiglio dei ministri di cui sono parte anche io. Tutti questi precedenti la mafia li conosce. Ecco la ragione per cui la mafia avversa Mannino, perchè Mannino politicamente sa condurre la battaglia contro Cosa nostra. Ed è proprio questa posizione che guadagnerà a me il rapporto fortissimo, di collaborazione, che come uomo politico e di governo do al dottore Falcone“.
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