Esattamente un anno dopo la strage di Capaci, per la precisione nella notte tra il 26 e il 27 maggio ’93, Cosa nostra decise di spostarsi nel “continente” proseguendo l’azione stragista.
Ma andiamo con ordine. Il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò la sentenza del Maxiprocesso che condannava Totò Riina e molti altri boss all’ergastolo. Conseguentemente a tale sentenza, nel febbraio/marzo 1992 si tennero sia una riunione plenaria della “Commissione regionale” (a cui parteciparono Riina, Provenzano, Madonia, Santapaola e Saitta) sia alcune riunioni ristrette della “Commissione provinciale” (a cui parteciparono Riina, Biondino, Ganci, Brusca, La Barbera e Cancemi), in cui si decise di dare inizio agli attentati stabilendo, oltre l’assassinio di nemici storici di Cosa nostra (Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) e di personaggi rivelatisi “inaffidabili” (Salvo Lima), nuovi obiettivi da colpire.
Il 15 gennaio 1993 Riina venne arrestato a Palermo insieme a Salvatore Biondino. Nei giorni successivi Ganci, La Barbera e Cancemi si incontrarono con Brusca per organizzare altri possibili attentati in Sicilia contro uomini dello Stato ma non proseguirono perché “era opportuno stare fermi“, ma tale decisione cambiò rapidamente, nonostante le ritrosie di alcuni, col benestare di Provenzano.
Il “continuare come prima” deciso da Provenzano non era riferito esclusivamente nel programmare nuovi attentati in Sicilia, ma di espandersi fuori, arrivare al “continente“, di continuare la lotta allo Stato colpendo altri personaggi scomodi, come Maurizio Costanzo scampato miracolosamente all’attentato, tramite autobomba, di via Fauro a Roma del 14 maggio ’93 che causò il ferimento di 24 persone e seri danni agli edifici, e altri siti.
E qui arriviamo a Firenze, in quella notte di fine maggio. Il commando fu composto da Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Pietro Carra, Vincenzo Ferro, Gioacchino Calabrò, Giorgio Pizzo, Antonino Mangano e Cosimo D’Amato.
La sera del 26 maggio Giuliano e Spatuzza rubarono un Fiat Fiorino e lo portarono in un garage, dove provvidero a sistemare l’esplosivo, composto da 250kg di tritolo, nitroglicerina, T4 e pentrite. In seguito, Giuliano e Lo Nigro parcheggiarono l’autobomba in via dei Georgofili e alle ore 01:04 circa del 27 maggio squarciò in due il cielo di Firenze.
La deflagrazione fu devastante e provocò il crollo della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, nella quale rimasero uccisi Fabrizio Nencioni, ispettore dei vigili urbani, e la moglie Angela Fiume, custode dell’Accademia, insieme alle loro figlie Nadia (nove anni) e Caterina (55 giorni), che abitavano al terzo piano della Torre. Nelle abitazioni circostanti si propagò un incendio, che uccise un giovane di 22 anni, lo studente universitario Dario Capolicchio.
L’attentato danneggiò gravemente anche alcuni ambienti della Galleria degli Uffizi e del Corridoio vasariano, che si trovano nei pressi di via dei Georgofili: il 25% delle opere d’arte presenti fu danneggiato mentre i capolavori più importanti furono protetti dai vetri di protezione che attutirono l’urto, alcuni dipinti risultarono invece gravemente danneggiati o quasi distrutti.
“Le piccole Caterina e Nadia Nencioni sono morte con i loro genitori, Fabrizio e Angela, così come il giovane studente di architettura Dario Capolicchio“, commenta la sindaca di Firenze Sara Funaro.

“Vite strappate dalla bomba di via dei Georgofili. Un vile attentato mafioso nel cuore della nostra città che è rimasto una ferita aperta e incancellabile per tutti noi. A 32 anni di distanza Firenze non dimentica, piange ancora le vittime di quella terribile strage, ribadisce che la mafia va combattuta strenuamente”.
Nove anni. 55 giorni. Cosa nostra non si è mai fermata difronte a niente e a nessuno. Una violenza inaudita, inumana. Gesti di una ferocia indescrivibile. Continuare a combattere è l’unico modo per rende onore a tutte le vittime. Presto o tardi questo “fatto umano“, come lo definiva Falcone, avrà la sua fine.