Ignoti sarebbero entrati nel villino della famiglia Borsellino a Villagrazia di Carini e avrebbero messo a soqquadro lo studio utilizzato dal giudice Paolo Borsellino. La circostanza è emersa oggi al processo per i depistaggi sulla strage di via D’Amelio e sarebbe avvenuta pochi mesi dopo l’eccidio del 19 luglio 1992. A raccontarla, Lucia Borsellino, figlia del magistrato assassinato, che oggi ha deposto al tribunale di Caltanissetta in cui si svolge il dibattimento: “Entrammo nello studio di mio nonno che era quello dove mio padre si appoggiava per lavorare e lo trovammo tutto divelto, c’erano tutte le carte per terra. Era l’unica stanza che era stata messa a soqquadro”.
Non è, però, l’unico mistero raccontato da Lucia Borsellino, che, rispondendo alle domande del capo della procura nissena Amedeo Bertone e dell’aggiunto Gabriele Paci, ha svelato anche alcuni particolari sull’agenda rossa appartenuta al padre e misteriosamente scomparsa: “Mi recai direttamente in via D’Amelio. quel luogo è stato letteralmente vandalizzato. in quel momento tutto potevo immaginare tranne che ci potesse essere qualcuno che si infilasse nella macchina ancora fumante e prendesse quello che lui aveva lasciato. Chiesi ad Arnaldo La Barbera, quando mi riconsegnò la borsa di mio padre, come mai non fosse presente l’agenda rossa e mi fu risposto in maniera quasi trasecolata, come se io stessi parlando di un oggetto che non era presente perchè non c’era, non perchè qualcuno lo avesse sottratto”.
Lo stesso La Barbera, secondo chi indaga, sarebbe uno degli autori del depistaggio, e avrebbe gestito il finto pentito Scarantino, che sarebbe servito a spostare l’attenzione sulla strage, indicando false piste.
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