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Luigi Pirandello e la moglie, un matrimonio contrassegnato dalla pazzia di lei

mercoledì 5 Dicembre 2018

Si sa, gli scrittori, i poeti, i drammaturghi e in generale gran parte di coloro che si occupano di “Arte”, sono spesso persone dotate di un mondo interiore molto complesso, articolato e difficile da intercettare. Infatti non è semplice vivere accanto ad un uomo di lettere o a un musicista. Si sa, la via dell’arte, anzi il labirinto tortuoso e impervio dell’arte è tutt’altro che semplice da intraprendere, a volte si può trasformare in una spirale vorticosa, in un sentiero con salite e discese ripidissime.

Non è un caso che Balzac, per esempio, avesse affermato: “Dio preservi le donne dallo sposare un uomo che scrive libri”, sottolineando la difficoltà di convivere con un uomo di lettere. Può anche capitare che un letterato, si trovi a vivere in prima persona, situazioni simili a quelle che aveva raccontato nelle proprie opere, quasi come uno scherzo del destino. Ed è ciò che, più o meno, accadde a Luigi Pirandello nel rapporto con la moglie Antonietta Portolano. Un matrimonio, sicuramente non facile, ricco di momenti bui, simili alle profondità degli abissi, una vita coniugale fin troppo presto dominata dallo spettro della follia della donna. I due, forse, non si ameranno mai, infatti sarà un matrimonio voluto dalle famiglie, vedendo nelle nozze un grande affare, poiché entrambi avevano interessi nel commercio dello zolfo.

Oltretutto, Calogero Portolano aveva attribuito alla figlia Antonietta una ricca dote, la quale sarà utilizzata da Stefano Pirandello, il padre del drammaturgo, per rilevare una miniera di zolfo ad Aragona, una località nei pressi di Agrigento. Luigi aveva perfettamente intuito, già prima del matrimonio, che la sua futura sposa non sarebbe stata in grado di seguirlo nel suo mondo letterario, che non avrebbe potuto varcare i cancelli della sua mente.

Effettivamente, non sarebbe stato semplice per chiunque seguire Pirandello nei suoi ragionamenti, rendersi conto del quotidiano irrazionale e illusorio, certamente non si trattava di una passeggiata ma piuttosto doveva sembrare la traversata di un mare in tempesta. Nonostante le profonde differenze, Luigi e Antonietta si piacevano, così il 27 Gennaio 1894 i due si sposarono ad Agrigento per trasferirsi subito dopo a Roma. Per una giovane di 22 anni, abituata a vivere ad Agrigento, non era sicuramente facile ambientarsi in una grande città e allo stesso tempo assecondare la dinamicità intellettuale del marito, preferendo di gran lunga accudire i tre figli: Stefano, Lietta e Fausto.

La Portolano iniziò a manifestare i primi segni della malattia mentale già a partire dal 1899 ma la situazione incominciò a peggiorare dopo il 1903, cioè dopo il disastroso allagamento della miniera di zolfo di Aragona, un durissimo colpo per tutta la famiglia. La situazione era disastrosa: la dote era completamente prosciugata, i debiti incombevano e i guadagni provenienti dalla miniera erano un lontano ricordo, per cui di fronte ad una situazione del genere, Antonietta, che già non stava bene, iniziò ad allontanarsi sempre di più dalla realtà, per lei il terrore della povertà, il rischio di poter cadere nell’indigenza divennero insopportabili. Sciascia dirà che per la donna “la “roba”, la sua “roba”, era “rifugio, sicurezza, identità”. Quindi venuta meno la roba, l’identità della Portolano inizierà a sfaldarsi, la donna non avrà più alcun “oggetto” su cui aggrapparsi.

Pirandello resterà per molti anni accanto alla moglie, i cui comportamenti diventeranno imprevedibili, ossessivi e imbarazzanti, per cui nasceranno risentimenti, i due coniugi si scambieranno frasi pesanti e accuse reciproche, ormai l’astio e l’amarezza dominavano il rapporto. Ma nonostante ciò e nonostante il consiglio dei medici di ricoverare la donna, Pirandello continuerà a tenerla in casa, con un dispendio incredibile di energie e denaro, probabilmente per amore dei figli, non volendoli privare della madre ma anche perché il grande drammaturgo siciliano credeva nella famiglia, in quanto istituzione, rifugio, luogo quasi sacro da difendere a ogni costo. La situazione divenne insostenibile nel momento in cui Antonietta cominciò a prendersela con la figlia Lietta, la quale arriverà addirittura a tentare il suicidio: ormai la donna era diventata un pericolo per i figli.

Quando una notte Pirandello troverà la moglie con un coltello in mano, dinanzi al letto, allora lo scrittore capirà che la strada verso il ricovero era ormai tracciata per la donna, accompagnata in clinica nel 1919 dai figli Fausto e Stefano, felice di lasciare il marito che non vorrà mai più vedere. Pirandello aveva dichiarato nel 1924 “il pazzo costruisce senza logica. Essa è la forma e la forma è in contrasto con la vita: la vita è informe e illogica. Perciò io credo che i pazzi siano più vicini alla vita. Niente c’è di fissato e di determinato in noi. Noi abbiamo dentro tutte le possibilità. Tanto è vero che da noi impensatamente e improvvisamente può scappare fuori il ladro, il pazzo”.

Insomma la vicenda di Antonietta è incredibilmente e tragicamente pirandelliana: la Portolano sembra uscire da uno dei drammi o dei romanzi del marito, sembra quasi confondersi e mescolarsi con il fu Mattia Pascal o con l’Enrico IV, per trasformarsi nel fu Antonietta Portolano o nell’EnricA IV, chiusa nel delirio della sua follia, ma proprio per questo più vicina a toccare le corde della vita.

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