La Dia di Palermo ha eseguito la confisca di beni mobili e immobili per oltre 400 milioni di euro, dopo la decisione presa qualche giorno fa dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale, nei confronti dell’ex deputato regionale Giuseppe Acanto, 58 anni, ritenuto legato ai vertici di Cosa nostra a Villabate (Pa).
La confisca riguarda rapporti bancari, capitale sociale e relativi compendi aziendali e quote societarie. Acanto, inoltre, è stato ritenuto dal Tribunale di Palermo ‘socialmente pericoloso’ e per questo sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni, a partire dal 2018.
Secondo la Dia, Acanto negli anni ’90 era socio in affari illeciti con Giovanni Sucato, il cosiddetto ‘mago dei soldi’ che, dopo aver truffato migliaia di persone tra cui anche alcuni appartenenti a Cosa nostra, sparì poi con un ingente capitale e il cui cadavere, nel 1996, fu trovato carbonizzato all’interno della propria auto.
“Particolarmente significative sono apparse le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Francesco Campanella – scrivono gli investigatori -, braccio destro di Nino Mandalà. Quest’ultimo, boss di Villabate di stretta ‘osservanza’ corleonese, fra gli anni 2002 e 2004 ebbe l’incarico di gestire un periodo di latitanza dell’allora ricercato Bernardo Provenzano curandone gli aspetti logistici, assistenziali ed amministrativi legati al ricovero in una casa di cura a Marsiglia“.
“Acanto – ricostruiscono ancora dalla Dia – dopo aver subito l’incendio nello studio professionale si rese irreperibile. Nel 1994, dopo essere stato perdonato, grazie alla mediazione di elementi di spicco della famiglia di Villabate, riprese l’attività di commercialista, dedicandosi alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini d’onore. In tale ambito, riuscì a trovare interlocutori privilegiati all’interno dell’amministrazione del Comune di Villabate (in seguito sciolto per infiltrazioni mafiose), facendosi nominare Direttore del locale Mercato Ortofrutticolo e, avvicinatosi all’attività politica, si occupò di sviluppare ogni operazione economica d’interesse della locale famiglia mafiosa, come la costruzione del Centro Commerciale“.
“Candidato alle elezioni amministrative del 2001 – spiegano ancora gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia – con la lista Biancofiore, con il sostegno della cosca locale, risulto’ il primo dei non eletti, riuscendo poi comunque ad accedere ad un seggio all’Assemblea Regionale Siciliana“.