“Cosa nostra oggi è più debole, ma non è scomparsa”. Così il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, in una intervista con lavialibera, la rivista di Libera e Gruppo Abele che nel nuovo numero pubblica “Terra bruciata”, il dossier-inchiesta sulle “emergenze croniche” che riguardano la Sicilia. Un viaggio nella Sicilia occidentale, tra Palermo, Agrigento e Trapani. Incontri con attivisti, amministratori, studiosi, magistrati e giornalisti per indagare tre grandi questioni: la mancanza d’acqua, gli incendi e la povertà. E per capire come la mafia di oggi si nutre e approfitta di queste crepe.
“Dopo l’arresto e la morte di Matteo Messina Denaro, la mafia siciliana – spiega – tenta di riorganizzarsi tornando alla propria tradizione, con un ‘esercito’ e un modello di business da anni Settanta: affari e discrezione. Si dimostra ancora capace di attrarre molti giovani, spinti dalla povertà e dalla carenza di alternative, e di trattare con politici e imprenditori locali”. Intanto, la giustizia arranca: “Il sistema antimafia regge, ma è circondato da un sistema giudiziario che sta affondando, e che rischia di trascinare giù anche lui – dice de Lucia -. Perseguire i reati dei colletti bianchi oggi è impossibile, a meno che qualcuno confessi spontaneamente”.
Per il procuratore capo di Palermo, la responsabilità è “di chi non riesce a governare le carceri: le associazioni sindacali che rappresentano la polizia penitenziaria influiscono sulle decisioni del governo e non sembra che la gestione carceraria sia una priorità per l’attuale ministro”. Servirebbe allora “una revisione dell’intero sistema sanzionatorio: in carcere dovrebbe stare molta meno gente di quella che ci sta oggi”, sottolinea.