TRAPANI – Piera Aiello, la testimone di giustizia, eletta alla Camera nella fila del M5S, ha deciso di riappropriarsi del proprio volto. Lo fa a Valderice (TP) in occasione delle commemorazioni per l’anniversario dell’omicidio del capitano Mario D’Aleo, dove ha deciso di farsi fotografare.
Cognata di Rita Atria, la giovane che si dissociò dalla sua famiglia mafiosa morta sucida dopo l’omicidio di Paolo Borsellino, Piera Aiello oggi ha 51 anni; da 27 vive sotto protezione, in una località segreta fuori dalla Sicilia.
Lo scorso 4 marzo Piera Aiello è stata eletta alla Camera nell’uninominale in Sicilia, nella lista del Movimento cinque Stelle, in un collegio della provincia di Trapani (feudo del boss latitante Matteo Messina Denaro ndr), dopo una campagna elettorale condotta senza mai mostrare il proprio volto per motivi di sicurezza. La sua immagine non era nemmeno sui fac-simile delle schede elettorali e anche il suo tesserino di parlamentare è privo di foto.
Da 27 anni vive sotto protezione, in una località segreta fuori dalla Sicilia. “Ne ho cambiate molte in questi anni”, racconta. E da quando ha deciso di ribellarsi al contesto mafioso in cui viveva, ha cambiato anche identità. Oggi, che ha 51 anni, è diventata una donna ‘delle Istituzioni’.
“Con questa candidatura – dice all’ANSA – mi sono riappropriata del mio territorio, che mi hanno tolto 27 anni fa quando mi hanno portata via dalla Sicilia. Del mio nome mi sono riappropriata, in un secondo momento, quando sono entrata alla Camera per la prima volta. Adesso nella mia terra mi riapproprio del mio volto”.
La parlamentare ammette di non avere scatti recenti che la ritraggono con i suoi figli. “Gli unici risalgono a quando sono nati. Non ho nemmeno un selfie con loro”, dice senza nascondere l’emozione.
A Montecitorio la neo parlamentare del M5s ha scelto di essere inserita in commissione Giustizia. Ma spera di entrare a far parte anche della commissione Antimafia. Sulla sua nuova avventura alla Camera ha le idee chiare. “La prima cosa da fare è mettere mano alle leggi sui testimoni e collaboratori di giustizia. Andrebbero riviste, non tutelano le famiglie. C’è un distinzione netta tra le due figure: i testimoni di giustizia non fanno alcun patto con lo Stato, i collaboratori sì. Si tratta di figure diverse”.
La storia di Piera Aiello si intreccia con quella di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso nel ’92 in via D’Amelio, quando la donna decide di denunciare i sicari del marito, figlio di un boss, parlando con l’allora Procuratore di Marsala. “Mi sono esposta per tanti anni, lavorando dietro le quinte supportando i testimoni di giustizia, nelle istituzioni – aggiunge – Io non scendo a compromessi, l’unico modo per farmi stare zitta è uccidermi, ma io sono pronta, non ho paura“.
Con il magistrato assassinato da Cosa Nostra, Piera Aiello aveva instaurato un rapporto decisamente familiare, quando ne parla, lo ricorda chiamandolo con affetto ‘zio Paolo‘. “Mi ha insegnato il senso di rispetto per le Istituzioni, per me sono un luogo sacro. Quando sono entrata per la prima volta alla Camera ho pensato a lui: ‘Grazie zio Paolo’. Se sono qui lo devo anche a lui; quando ho deciso di denunciare non sapevo parlare in italiano, mi esprimevo in dialetto”.
“Zio Paolo mi diceva ‘studia’, leggi’. Ho conseguito due diplomi, non sono riuscita a laurearmi per ragioni economiche per far studiare mia figlia. Adesso la più piccola vuole iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza, vuole fare il magistrato in Sicilia. Zio Paolo da lassù – dice con un sorriso – magari starà dicendo chi se l’aspettava…”.