Martina Patti, la 26enne che il 12 luglio del 2024 è stata condannata a 30 anni di reclusione per l’omicidio della figlia Elena, di quasi 5 anni, che la donna, rea confessa, ha ucciso con un’arma da taglio nel giugno 2022 e poi seppelliti in un campo vicino casa, a Mascalucia, simulandone il rapimento, è da “ritenere imputabile” ed è “in grado di partecipare coscientemente al processo”.
E’ la conclusione della perizia collegiale disposta dalla Terza Corte d’assise d’appello di Catania e redatta dal professore Eugenio Aguglia, già ordinario di Psichiatria dell’università di Catania, presidente della Società italiana di psichiatria e psicopatologia forense, e il professore Roberto Catanesi, ordinario di Psicopatologia forense dell’università Aldo Moro di Bari.
“Di sicuro l’imputata – scrivono i periti – ha mantenuto un sufficiente livello di coscienza e di consapevolezza critica delle proprie azioni immediatamente dopo l’omicidio: subito dopo si recò a casa per lavarsi e cambiarsi d’abito; a seguire telefonò alle persone significative”.
Per Catanesi e Aguglia “ciò che emerge, dagli atti, in sostanza sono comportamenti coerenti, finalizzati, non espressivi neppure di disorientamento o confusione; quando ella si rese conto di avere le mani sporche di sangue e che la figlia era morta non girovagò senza meta e sporca di sangue, come sarebbe stato ragionevole se fosse stata in stato confusionale, ma si recò a casa, si cambiò, si lavò, non comunicò a nessuno l’accaduto, guidò con l’auto sino a casa dei genitori e poi fornì la sua falsa ricostruzione”.
Per i due periti non ci sono elementi per “ipotizzare la sussistenza di un disturbo di coscienza, anche temporaneo” ma “soltanto una parziale amnesia dell’azione delittuosa che ha portato alla morte della piccola Elena” e la limitazione manifestata dall’imputata “non raggiunge intensità e rilevanza tale da produrre un vizio parziale di mente”.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 4 novembre.