In relazione alla notizia degli scorsi giorni secondo cui la Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Rosy Bindi ha disposto il sequestro degli elenchi degli iscritti delle associazioni massoniche di Calabria e Sicilia, qualche considerazione in più potrà aiutare il dibattito di queste ore.
La massoneria in Italia, pur non essendo una società “segreta” in senso stretto (cosa che è peraltro illegale per la nostra Costituzione), alla stregua di tutte le altre associazioni si trincera dietro la legge sulla privacy per non pubblicare gli elenchi con i propri iscritti.
In Italia esistono molte associazioni massoniche, fra cui le più note sono il “Grande Oriente d’Italia”, la “Gran Loggia degli Alam” e la “Gran Loggia regolare d’Italia”. Si tratta di organizzazioni che spesso hanno anche promosso eventi pubblici, aperti alla stampa e diffusi dai giornali. Ma il principio di non pubblicare i nomi dei propri iscritti, comunque, per loro è questione prioritaria, che invocano ad ogni occasione.
Tuttavia, se formalmente si può dire che il loro discorso non faccia una piega, occorre anche valutare tutto ciò su un piano sostanziale. Infatti, è innegabile che dallo scandalo della P2 in poi, si è visto come in Italia, spesso le logge massoniche siano state utilizzate da certuni quale occasione per creare lobbies di potere, per orientare decisioni o in casi peggiori, per infiltrare esponenti della criminalità mafiosa (prendiamo ad esempio la celebre loggia “Scontrino” di Trapani).
Di fronte a simili episodi, ovviamente, i massoni dovrebbero porsi più di un interrogativo e capire che la mancata pubblicazione degli elenchi dei propri iscritti potrebbe essere letta dalla pubblica opinione non come la tutela di un diritto alla riservatezza garantito dalla legge, ma come il tentativo di “coprire” qualcuno, per fini indicibili. Fino a quando la massoneria non comprenderà che il principio di trasparenza è una garanzia per tutti i cittadini, nella società italiana permarrà il comprensibile dubbio che questa non sia un’associazione volta allo “studio dell’uomo” e al suo “miglioramento interiore”, ma serva ad altro.
Inoltre, rendere pubblici e trasparenti i propri elenchi avrebbe anche un fine sociale e di garanzia: infatti, da un lato si fugherebbe ogni dubbio su chi ne fa parte e dall’altro, si scongiurerebbe che all’interno delle associazioni massoniche possano entrare personaggi che vogliano agire nell’ombra, preferendo muoversi nell’anonimato, magari per scopi loschi e illeciti. I massoni stessi dovrebbero comprenderlo, ma pare che così non sia.
Alla luce di queste considerazioni, ritengo che l’invito della Commissione Antimafia a pubblicare gli elenchi sia, dunque, un invito al buonsenso: l’invito a schierarsi dalla parte della trasparenza e della legge.