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Migranti a Messina: l’hotspot a Bisconte prossima tappa della “catena di montaggio”?

martedì 4 Luglio 2017
Accoglienza sì, invasione no. Si potrebbe sintetizzare così il pensiero dei messinesi che in queste ore assistono sempre più preoccupati all’interminabile sequenza di sbarchi che sta portando nelle acque della Città dello Stretto centinaia e centinaia di migranti, giorno dopo giorno, senza tregua e senza un limite numerico all’orizzonte. A preoccupare è soprattutto la prospettiva di un hotspot a Bisconte, la cui inaugurazione sarebbe dovuta avvenire già lo scorso mese: almeno per il momento il progetto è stato “congelato” ma di questo passo non è difficile che se ne torni a parlare molto presto. Tra martedì e giovedì, nel breve arco di tempo di 48 ore, si sono contate oltre 900 accoglienze e così Messina sta diventando quello che altre zone siciliane sono state in precedenza: porto franco di un’impressionante invasione alla quale l’Europa guarda a braccia conserte e non ha nessuna intenzione di porre un limite e neppure un freno. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, sulle coste italiane, da gennaio, sono stati contati 83.360 arrivi. L’aumento, rispetto allo scorso anno è del 18,71%. Mentre il numero dei minori stranieri non accompagnati, sbarcati dall’inizio dell’anno, è 9.781. Solo durante lo scorso fine settimana sono arrivati 12.600 tra immigrati e rifugiati. 

 
La logica dell’accoglienza e dell’ineludibile rispetto per chi necessita di soccorso umanitario appare sempre più marginare rispetto a una situazione che sta andando fuori controllo, anzi già lo è e che non a caso preoccupa i sindaci della ex Provincia di Messina, con in testa gli amministratori dei Comuni del polo turistico della zona ionica ma anche quelli della tirrenica, perché di questo passo il rischio concreto è quello di riempire i centri urbani, le comunità locali, di migranti che non si sa bene a quale futuro andranno incontro. Eloquente, inoltre, appare la risposta data in Prefettura ai sindaci sulla temporalità della permanenza dei migranti da destinare ai vari Comuni (2 ogni mille abitanti stando al documento Anci): non si sa per quanto tempo e potrebbe, insomma, anche trattarsi di una accoglienza da protrarre per mesi e anni. In questa condizione di imperturbabile incertezza si inseriscono i due cosiddetti “X factor”. Ovvero il possibile ingresso sulla scena da parte della Regione Siciliana e gli “appetiti” dei privati, cioè le cooperative e i singoli che hanno i propri immobili da mettere a disposizione. 
 
La Regione, in particolare, stando a quanto emerso sempre in Prefettura potrebbe scavalcare tutti, bypassare gli enti locali e inviare un numero imprecisato di migranti mediante la sottoscrizione di accordi diretti con le cooperative. Ed è questo che da più paura ad amministratori e cittadini, a Messina e nei centri della provincia. I ricollocamenti in Europa procedono a passo di lumaca o in qualche caso sono bloccati. E dalle coste africane si prevedono altri sbarchi da qui ai prossimi mesi, con migliaia di persone intenzionate a raggiungere l’Italia e nello specifico le più vicine acque che sono quelle della Sicilia. L’Italia pensa (o si illude?) di arginare l’invasione con l’intesa a tre con Germania e Francia, passando per il rafforzamento dei controlli in Libia, paese a pezzi dopo la caduta di Gheddafi. “Il confine meridionale della Libia è il vero confine meridionale dell’Europa”, ha evidenziato il Ministro Minniti, ma poi nei fatti chi lo controllerà e con quale reale efficacia? Siamo sicuri che gli scafisti non potranno proseguire i loro traffici? Si sa che spesso il passo dalle carte ai fatti, dai documenti firmati ai patti rispettati, assume le beffarde sembianze di una voragine ciclopica. 
 
Siamo di fronte a una enorme catena di montaggio del traffico di esseri umani tra l’Africa e l’Europa, una tragedia dove la dignità umana è stata cinicamente relegata ad aspetto marginale e nella quale persone disperate si ritrovano al centro di un sistema modernizzato di schiavitù, alimentato e foraggiato dal business milionario di cooperative, rimborsi, finanziamenti e quanto altro ancora ruota attorno alla macchina dell’assistenza. Oltre la questione della Libia c’è decisamente di più nell’odissea di migranti che dovrebbero essere considerati essere umani ma sono diventati per qualcuno della “merce” e niente di più. La maggior parte dei migranti che arrivano sulle nostre coste proviene in questo momento da Nigeria ed Eritrea. Il paese del Corno d’Africa è governato da una dittatura che, da più di venti anni, soffoca le opposizioni e la vita democratica. Secondo le stime di Reporters Sans frontièrs è penultimo nella classifica per la libertà di stampa nel mondo nel 2017, appena prima della Corea del Nord. L’Eritrea è inoltre caratterizzata da una crisi economica che dura ormai da decenni, con l’80 per cento della popolazione che vive di agricoltura di sussistenza e che è minacciata dalle frequenti carestie. Secondo stime dell’FMI il Paese africano è al 162° posto nel mondo nelle stime del PIL pro capite, con un reddito medio pro capite di appena 823 dollari. La Nigeria è invece scossa dalla guerra combattuta, nel nord est del Paese, dall’esercito nigeriano contro le milizie jihadiste di Boko Haram. Una situazione aggravata dalle conseguenze del cambiamento climatico che spinge gran parte del Paese in uno stato di grave sotto-nutrizione.  Le ultime segnalazioni parlano di circa 14 milioni di persone che non riescono a soddisfare i bisogni alimentari elementari. E allora chi potrà fermare questo esodo biblico? Ma soprattutto chi avrà la forza decisionale di contrapporsi all’interesse di chi vuole trasformare l’Europa nella terra promessa di migranti da sfruttare senza alcuna pietà?
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