Alle prime ore di stamattina, a Palermo e Misilmeri, i militari della Compagnia Carabinieri di Misilmeri e del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 6 ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso.
L’indagine costituisce l’esito di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo e dalla Compagnia di Misilmeri sulla famiglia mafiosa di Misilmeri, che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione mafiosa, organicamente inserita nel mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno.
L’importante dispositivo di contrasto a “Cosa Nostra”, di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, ha sviluppato un articolato percorso investigativo, coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ha permesso l’esecuzione, negli ultimi 15 anni, di importanti operazioni nei confronti di esponenti delle famiglie mafiose del mandamento di Misilmeri- Belmonte Mezzagno, tra cui, “Perseo” (2008), “Sisma” (2009 e 2011), “Jafar” e “Jafar 2” (2015), “Cupola 2.0” (2018/2019) e “Limes” (2022)
L’odierna indagine, avviata dai Carabinieri nel gennaio 2021 e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario condiviso dal G.I.P. nella suindicata ordinanza restrittiva. Secondo tale provvedimento, per l’appunto, sussistono gravi indizi per affermare l’esistenza e la piena operatività dell’organizzazione criminale denominata “Cosa Nostra” nel territorio di Misilmeri, immortalando un contesto territoriale caratterizzato da uno spietato ricorso alla violenza ed all’imposizione del pizzo a commercianti ed imprenditori.
L’attività d’indagine, sviluppata attraverso non poche difficoltà dovute al “modus operandi” degli indagati, ha consentito di acquisire gravi indizi in merito:
– all’evoluzione strutturale ed operativa della famiglia di Misilmeri;
– alla identificazione dei consociati;
– all’accertamento degli illeciti interessi;
– al condizionamento del tessuto socioeconomico attraverso il potere mafioso della famiglia di Misilmeri, espresso principalmente attraverso l’imposizione del pizzo.
Sempre secondo l’ordinanza cautelare, sussistono gravi indizi, che dovranno essere successivamente confermati dagli ulteriori passaggi processuali, in ordine a:
– l’operatività e lo stretto controllo sul territorio esercitato dalla famiglia di Misilmeri, dalla quale emergerebbe la figura di Michele SCIARABBA, ritenuto dal G.I.P. gravemente indiziato di essere il capo della famiglia, e di Alessandro RAVESI, suo collaboratore. Entrambi i predetti avrebbero coordinato l’attività nei settori tipici di controllo di “Cosa Nostra”, curando il mantenimento dell’ordine sul territorio e adoperandosi – in modo paritetico ad altri sodali destinatari dell’odierna misura – per la risoluzione di svariate controversie tra privati, in alternativa allo Stato, e per le estorsioni;
– l’esistenza di vincoli di solidarietà tra gli appartenenti alle famiglie, a favore dei quali gli indagati risulterebbero essersi attivati per il sostentamento dei sodali detenuti;
– l’imposizione del pizzo a imprenditori e commercianti dell’area, in particolare in danno di:
a) un imprenditore del settore edile impegnato nella realizzazione di un grosso impianto di rifornimento di carburanti;
b) un imprenditore del settore della grande distribuzione alimentare, proprietario di diversi supermercati;
c) un imprenditore alimentare, proprietario di un’azienda avicola del territorio.
– l’interesse della famiglia di Misilmeri nella gestione illecita, nel Capoluogo, dell’attività di trasporto di malati e di servizi funebri.
L’operazione di oggi rappresenta una forte e concreta risposta delle Istituzioni alla costante operatività criminale e alla capacità di controllo e condizionamento del territorio operato ancora oggi, in modo pervasivo, da “Cosa Nostra” sul territorio misilmerese, nonostante la perseverante e incessante azione di contrasto condotta negli ultimi decenni dallo Stato.
Dai polli ai supermercati l’agroalimentare è diventato un settore prioritario di investimento della malavita con un business criminale che ha superato i 24,5 miliardi di euro.
È quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’inchiesta dei carabinieri della Compagnia di Misilmeri e del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Palermo che ha disarticolato i vertici di un clan mafioso che aveva preso di mira l’alimentare, dal settore avicolo alla grande distribuzione. “La malavita – sottolinea l’organizzazione agricola in una nota – comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Non solo si appropriano – aggiunge Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy“.
“Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione, le agromafie – afferma Coldiretti – impongono l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie alle disponibilità di capitali. Un fenomeno che – conclude Coldiretti – minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari“.
“Apprendiamo della significativa operazione dei carabinieri del nucleo investigativo di Palermo e della compagnia di Misilmeri che con il coordinamento dei magistrati della Procura hanno tratto in arresto sei soggetti accusati di far parte della famiglia mafiosa locale. Anche in questa occasione abbiamo supportato e accompagnato chi ha trovato la forza e il coraggio di opporsi al racket delle estorsioni“. Lo rendo noto l’associazione antiracket Addiopizzo.
“Gli arresti di stamane e le denunce nel corso delle indagini delle vittime accompagnate da Addiopizzo rappresentano un modus operandi collaudato che dimostra come esistono le condizioni per denunciare in sicurezza e affrancarsi dal fenomeno estorsivo anche nel territorio della provincia di Palermo – prosegue - Si è trattato di un percorso di ascolto e sostegno che la nostra associazione ha svolto a fianco di chi ha denunciato e in sinergia con gli uomini dell’Arma dei carabinieri e i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Grazie anche alle denunce, in poco tempo carabinieri e magistrati hanno ricostruito gli episodi estorsivi perpetrati da chi è accusato di far parte della famiglia mafiosa di Misilmeri”.
“Questa indagine dimostra, ove ce ne fosse bisogno, che il contributo degli operatori economici è fondamentale affinché lo straordinario lavoro di organi investigativi e autorità giudiziaria possa conseguire ulteriori risultati- conclude-. Lo abbiamo affermato diverse volte, ma è bene ribadirlo con forza: è questo il momento propizio per distruggere il muro di omertà. Solo con una decisa e sentita azione popolare riusciremo a sconfiggere il fenomeno delle estorsioni. Noi continueremo a esserci, per strada, con la passione civile che abbiamo dimostrato, con l’impegno quotidiano, con il coraggio e il senso di responsabilità verso il futuro“.