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Nessuna guerra per la successione di Riina, la mafia trova un accordo e riorganizza la “Cupola”

mercoledì 7 Febbraio 2018
riina

‘Per Cosa nostra le dialettiche interne alle cosche palermitane continuano ad influenzare l’intera struttura, sia sotto il profilo della gestione degli affari illeciti più remunerativi, sia con riferimento alla guida dell’organizzazione, la quale non sembra ancora attribuibile ad alcuno, dopo la morte di Salvatore Riina’.

E’ quanto si legge nella Relazione semestrale della Dia – Direzione Investigativa Antimafia, riguardante l’attività svolta ed i risultati conseguiti nella prima metà del 2017, che si apre facendo cenno ai 25 anni trascorsi dagli attentati di Capaci e di via d’Amelio.

Secondo la Dia ‘si prospetta la formale apertura di una nuova epoca – quella della mafia 2.0. – al passo con i tempi, che definitivamente omologherà la strategia della sommersione. Conseguentemente non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina. Appare, infatti, superata per sempre l’epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi collusivi e corruttivi. Proprio in questa logica, potrebbe farsi spazio l’ipotesi di un accordo tra i capi più influenti, rivolto alla ricostituzione di una sorta di ‘cabina di regia‘ simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena dei ‘palermitani”.

‘Un’eventuale successione affidata a Matteo Messina Denaro, l’ultimo latitante di rilievo, al di là del suo attuale ruolo operativo – secondo la Dia -, dovrebbe tra l’altro superare le resistenze dei vertici dei mandamenti del capoluogo palermitano, che potrebbero non accettare, quale leader, un trapanese, da anni ormai non pienamente coinvolto nelle logiche affaristiche e criminali dell’organizzazione. Sicuramente però è il momento delle scelte. Per troppi anni si è protratta una situazione di stallo, tradottasi finora nell’affidamento di responsabilità, anche rilevanti, a reggenti non sempre all’altezza, per leadership e carisma, di rendere pienamente operativo un organo di raccordo sovrafamiliare, indispensabile nella risoluzione dei conflitti e nella gestione delle emergenze di alto profilo. Reggenti che non poche volte hanno dovuto fare ricorso ai consigli di anziani uomini d’onore, chiamati a garantire il rispetto delle fondamentali regole interne’.

‘Allo stato, Cosa nostra palermitana continuerebbe – sottolinea la Dia – ad attraversare una fase di transizione e di rimodulazione, sforzandosi di conservare una struttura unitaria e verticistica, per massimizzare, finchè possibile, i profitti derivanti da un ‘paniere’ di investimenti, certamente meno rilevante rispetto al passato. A tal fine, ciascuna famiglia (o mandamento) si sarebbe conquistata una maggiore autonomia, funzionale per garantirle un sufficiente livello di operatività soprattutto in quelle aree ove le attività investigative si sono rivelate più penetranti. Scelte operative a volte dolorose e conflittuali che potrebbero alla lunga produrre riflessi anche sull’esatta ripartizione delle competenze territoriali di mandamenti e famiglie, improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato.

Nella parte occidentale dell’Isola, la mafia trapanese e agrigentina continuano ad agire in sostanziale sintonia con le famiglie palermitane. Uno status quo che evidentemente non può prescindere dal ruolo del latitante Matteo Messina Denaro, il quale, per quanto episodicamente emergano segnali di insofferenza rispetto alla sua minore aderenza al territorio, continua a mantenere un rilevante carisma sui suoi adepti. Da un punto di vista operativo, resta l’articolazione di Agrigento quella maggiormente ancorata alle regole mafiose tradizionali, tanto da rendersi difficilmente permeabile dall’esterno. Nonostante questa forte compartimentazione, cosa nostra agrigentina ha dimostrato, in più occasioni, di saper lucrare oltre che sulle opere pubbliche, anche sulla filiera agroalimentare, sulle fonti energetiche alternative, sullo stato di emergenza ambientale e sui finanziamenti pubblici alle imprese.

‘Nel Catanese – rileva la Dia -, le famiglie proiettano la loro attenzione verso il settore edilizio, gli appalti, la filiera dei trasporti (soprattutto su gomma), le reti di vendita e della grande distribuzione, l’agroalimentare, la ristorazione, le scommesse clandestine, l’emergente mercato delle energie alternative, lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti, nonché la gestione delle discariche’.

Se in provincia di Messina si coglie l’influenza di Cosa nostra palermitana, di Cosa nostra catanese e della ‘Ndrangheta, per Siracusa si conferma l’attenzione delle locali organizzazioni criminali, in specie quelle della stidda, verso il settore dell’agroalimentare, anche in ragione dell’importanza che riveste, sul piano nazionale, il mercato ortofrutticolo di inoltre, a trovare linfa vitale in una strategia di pax mafiosa tra i sodalizi della provincia e nelle salde alleanze con le consorterie etnee’. ‘

 

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