Nel panorama della procreazione medicalmente assistita, il destino degli ovuli fecondati non impiantati rappresenta una questione complessa, ricca di implicazioni etiche e normative. A fare chiarezza su questo tema è Giuseppe Giaimo, professore ordinario di Diritto privato comparato del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, che analizza le contraddizioni e le sfide di questa delicata realtà.
La distinzione fondamentale
“Bisogna innanzitutto distinguere due categorie di ovuli fecondati non impiantati – spiega Giaimo -. Esistono gli ovuli non impiantabili, che presentano problemi tali da impedirne il trasferimento nell’utero materno, e gli ovuli sovrannumerari, che in teoria potrebbero essere impiantati ma che per diverse ragioni non lo saranno mai. Nel primo caso, la questione si chiude rapidamente, trattandosi di ovuli che non potranno mai svilupparsi. Nel secondo, invece, entrano in gioco fattori etici e normativi. Alcuni, infatti, ritengono che questi ovuli siano già vita e che vadano trattati con dignità umana, ma quale?”.
Le restrizioni della legge italiana
“Attualmente, in Italia, gli ovuli fecondati non impiantati possono solo essere mantenuti in stato di crioconservazione. Non si sa per quanto tempo, perché non esiste un’indicazione precisa sulla durata massima della conservazione – sottolinea -. E non si può fare nulla con essi. Né utilizzarli per la ricerca scientifica, né donarli, né distruggerli. All’estero, invece, le soluzioni sono più variegate. In alcuni Paesi, gli ovuli non impiantabili possono essere destinati alla ricerca scientifica, purché vi sia il consenso di chi ha fornito i gameti. In Italia, invece, abbiamo un paradosso: vietiamo la ricerca sugli embrioni, ma possiamo utilizzare i risultati delle ricerche condotte all’estero. Un’ipocrisia enorme”.
L’assurdità della fecondazione eterologa
“Se parliamo di ovuli fecondati ma impiantabili, l’ipocrisia diventa ancora più evidente. Se una coppia decidesse di donare i propri gameti separatamente, sarebbe possibile: un uomo può donare il proprio liquido seminale, una donna può donare i propri ovuli – aggiunge -. Ma se il loro ovulo e spermatozoo si sono già incontrati e hanno dato origine a un embrione, allora no, non possono più donarlo. In pratica, la fecondazione eterologa è consentita, ma solo fino a quando gameti maschili e femminili restano separati. Una volta uniti, diventano un tabù intoccabile. Ma quale sarebbe la differenza? Se lo scopo è tutelare la vita, non sarebbe più logico dare a questi embrioni una speranza, permettendo che vengano impiantati in coppie sterili? No, in Italia l’unica opzione è lasciarli crioconservati a tempo indefinito“.
Il paradosso della tutela della vita
“In un paese dove la ricerca sugli embrioni è vietata, ma possiamo acquistare risultati scientifici ottenuti all’estero grazie a quella stessa ricerca, qualcosa non torna. Se davvero volessimo proteggere la vita, dovremmo consentire almeno la donazione di quegli embrioni a coppie che non possono avere figli. Invece, li teniamo congelati a tempo indefinito. Ma allora mi chiedo: quale sarebbe la vera tutela della vita? Quella di mantenere questi embrioni in uno stato di limbo, privandoli di qualsiasi possibilità di sviluppo, oppure quella di dare loro una speranza concreta? Qui non si tratta di scienza, si tratta di ipocrisia legislativa. Ma di questo non si può parlare, perché è un tabù. E quando un tema diventa tabù, vuol dire che siamo di fronte a un problema culturale, non solo giuridico“, conclude Giaimo.