Fu la prima a essere conquistata dagli Alleati nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Con il nome in codice “Corkscrew”, lo sbarco di Pantelleria – avvenuto ben 12 mesi prima il famoso “sbarco in Normandia” – potrebbe essere il primo, vero D-day.
Un’operazione avvenuta due mesi prima il vasto sbarco sulle coste siciliane e in anticipo di due anni rispetto alla data storica del 25 aprile 1945, Festa della Liberazione. Da quest’isola iniziarono le prime azioni militari verso la liberazione (o invasione?), dell’Italia. Conquistare Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione, era fondamentale per avere a disposizione punti d’appoggio strategici per l’avanzata, più massiccia, in programma nelle settimane successive. In particolare, la prima operazione alleata sul suolo italiano, fu proprio Pantelleria, la più fortificata e presidiata delle isole del Canale di Sicilia. Al tempo, registrava circa seimila abitanti i quali, allo scoppio del conflitto, decisero in gran parte di non raggiungere la Sicilia o altre regioni italiane ma, di restare nell’isola, sfollando nelle campagne.
L’operazione ebbe inizio i primi giorni di maggio del 1943 con un violento bombardamento a cui seguì, poco tempo dopo, un un blocco navale. Bersagli degli alleati: gli impianti radar e il campo di aviazione con l’hangar scavato nella montagna.
A comando del presidio italiano sull’isola, l’ammiraglio Gino Pavesi supportato da circa 11.400 uomini ben armati. Ai bombardamenti aerei durati un mese, si aggiunsero poi gli attacchi dei torpedinieri inglesi durante i quali furono abbattuti dalla contraerea italiana, 45 aerei alleati. Il piano prevedeva un’invasione anfibia per l’11 giugno. L’operazione avvenne regolarmente ma, ancora oggi, la ricostruzione di quei fatti, desta ancora dubbi ed è ricca di contraddizioni. Il dato oggettivo è che, lo sbarco, venne effettuato quando gli italiani si erano ormai già arresi e quindi non ci fu alcun bisogno di impiegare le armi. Tutto il resto, ovvero su ciò che riguarda le tempistiche e le modalità che portarono a quella situazione, la discussione è ancora aperta.
In quel periodo furono sganciate sull’isola quasi seimila tonnellate di bombe, che provocarono pochi morti e distrussero solo il 25% dei potenziali obiettivi militari. Insomma, la resistenza di Pantelleria sarebbe potuta anche durare molto di più e allora perché arrendersi così velocemente?
A raccontare questa storia quasi del tutto sconosciuta è stato, tra gli altri, Sergio Lepri in “1943, Cronache di un anno” https://www.sergiolepri.it/1943-cronache-di-un-anno-2/
Il giornalista – all’epoca sergente addetto all’ufficio operazioni del Comando della quinta armata – spiega il motivo per cui, quella piccola isola sul Mare d’Africa sia diventata, proprio per le sue caratteristiche, una fortezza inespugnabile. Si erano scavate gallerie dentro la roccia, sotto i fiumi di lava si erano costruite le rimesse degli aerei, i depositi di munizioni, i rifugi per i militari e i civili. L’isola cominciò ad essere fortificata nel 1936, al tempo della guerra d’Abissinia, diventando un luogo ben attrezzato militarmente. O forse no? Anche su questo aspetto i dubbi sono tanti. Secondo alcune testimonianze infatti, la “Gibilterra del Canale di Sicilia” era in realtà un specchio per allodole. Ciò che poteva appariva sulla carta infatti, non si era probabilmente realizzato completamente e concretamente nei fatti ma, era rimasto, almeno in parte, solo alla fase di progetto. Se la realtà di Pantelleria era ben lontana dall’essere indicata come un fortino imprendibile, questo spiegherebbe, al netto delle responsabilità dell’esercito italiano, la facile conquista degli Alleati che prevedevano una conquista difficile e una resistenza sanguinosa.
Ma perché lo sbarco a Pantelleria venne chiamato operazione “corkscrew” ovvero “cavatappi”. Per capirne il motivo, basta dare un’occhiata alla mappa geografica. Se immaginiamo il Canale di Sicilia come una specie di collo di bottiglia, Pantelleria ne sarebbe di sicuro il tappo. Farlo saltare voleva dire da un lato, avere le spalle coperte rispetto alle coste africane e dall’altro prepararsi più agevolmente all’imminente sbarco in Sicilia con l’operazione Husky, il 9 luglio 1943.
Due mesi prima, l’11 maggio 1943 è dunque il giorno fissato per lo sbarco. In un porto ormai devastato da giorni di intensi bombardamenti, arrivano i primi soldati. Tra gli inglesi, una sola vittima. Un caporale morto, pare, per i calci di un asino pantesco. Da Pantelleria, nessuna controffensiva: si è già arresa a sbarco ancora in corso.
Il 12 giugno il bollettino 1113 del Quartiere generale delle forze armate, scriverà: “Pantelleria, sottoposta a massicce azioni aere e navali di potenza e frequenza senza precedenti, privata di ogni risorsa idrica per la popolazione civile, è stata ieri costretta a cessare la resistenza”. Nessun morto o meglio, “solo” 58 dall’inizio dell’operazione di maggio.
A metà fra un intrigo internazionale e a tratti con i toni di una tragica commedia, tra aneddoti, ricostruzioni storiche e pittoresche, il “caso Pantelleria”, prima terra d’approdo europeo degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, continua, ancora oggi, ad affascinare e a incuriosire per i misteri e le curiosità che nasconde e racconta.