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Perché Accorinti deve andare a casa e Gentiloni no

venerdì 3 Febbraio 2017

L’interruzione anticipata di una esperienza di governo locale o nazionale può essere utile o dannosa, dipende. È utile che Renato Accorinti  vada a casa, è dannoso che lo faccia Gentiloni.

Messina, in questi anni ha visto all’opera una amministrazione inadeguata, che non è riuscita a realizzare in maniera compiuta nessuno dei punti programmatici proposti in campagna elettorale. Una Giunta che ha fallito su tutti i fronti: dalla pianificazione economico-finanziaria, alla gestione dei servizi e finanche sulla trasparenza e sulla partecipazione dei cittadini.

Allo stesso tempo si è in presenza di un consiglio comunale largamente screditato, privo, salvo poche eccezioni, di autorevolezza e di capacità di proposta politica.

Di fronte a questo scenario desolante, continuare a trascinare stancamente, per un anno ancora, una esperienza amministrativa tutta da dimenticare, priva di qualsiasi capacità propulsiva, è non solo inutile ma dannoso per la collettività.

Prospettiva completamente diversa sul piano nazionale. Questa corsa al voto in primavera, a qualsiasi costo, appare una forzatura, un salto nel buio.

Illuminanti sono al riguardo le recenti parole dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno. Bisognerebbe andare a votare o alla scadenza naturale della legislatura o quando mancano le condizioni per continuare ad andare avanti. Per togliere le fiducia ad un governo deve accadere qualcosa. Non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno…”.

Non si comprende, infatti, quali siano i vantaggi per il Paese di un turno elettorale anticipato. Anzi sono prevalenti le motivazioni contrarie. La principale è la necessità di affrontare con un governo stabile gli impegni internazionali, primo tra tutti il G7 di Taormina, le emergenze del paese, tra le quali la ricostruzione post-sismica, quindi quella di arrivare alla definizione di una “buona” legge elettorale e non di una legge elettorale comunque  “basta che si vada a votare a giugno”.

Se si andasse a votare con la legge elettorale attuale, infatti, il rischio di caos ed instabilità politica sarebbe altissimo. Due sono le ipotesi in gioco: se un partito dovesse raggiungere la soglia del 40 per cento dei voti, grazie al premio di maggioranza, potrebbe governare con un’ampio sostegno parlamentare; ma sembra molto difficile che ciò si possa verificare.

La possibilità più verosimile è che nessuna lista raggiunga il quorum, e che quindi si vada a formare un governo di coalizione. E qui ci sarà da ridere.

Proviamo a fare delle ipotesi sulla base della potenziale forza elettorale dei partiti come valutata nei sondaggi. Se il primo partito dovesse essere il Pd, con chi si potrà alleare? Certamente con i nascituri partiti alla sua sinistra (Sinistra Italiana, D’Alema). Ma i numeri non basteranno, ed allora saranno coinvolti i partititi centristi (Ncd per primo). Ma ancora non ci siamo. Rimane, allora, solo Forza Italia. Risultato: un governo Renzi, appoggiato da Berlusconi, Alfano, Fassina e Vendola!

Dall’altro lato, se dovesse arrivare primo, ma sotto la soglia del 40 %, il Movimento 5 stelle si vedrebbe obbligato, per andare al governo, ad allearsi con la Lega e col partito della Meloni. E non mi sembra che tale ipotesi sia rassicurante sul piano della governabilità!

Meglio fermarsi in tempo, prima di andare a sbattere! Si faccia una legge elettorale che garantisca la governabilità e poi si vada a votare. Ha ragione Napolitano: nessuno deve anteporre le proprie fortune politiche agli interessi del paese.

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