Aglio, pomodoro, basilico, mandorle, olio extra vergine di oliva, sale, senza dimenticare mortaio e pestello. Nel suo ultimo libro (con video tutorial incluso) “il Pesto Trapanese (pasta cu l’agghia) il territorio in una ricetta”, Paolo Salerno racconta la storia di un delizioso condimento della tradizione da proteggere e valorizzare in quanto parte dell’identità della Sicilia.
Apprezzato, imitato, personalizzato e conosciuto in tutto il mondo, questo delizioso condimento racconta la storia contadina siciliana. Tuttavia, come accade per molti piatti che conservano un’origine molto antica, anche la genesi del pesto trapanese è piuttosto incerta e difficile da ricostruire. Se poi, a metterci lo zampino è anche il web, il confine tra fake news e verità, può diventare difficile da individuare. “Abbiamo scoperto – dice Salerno – che il pesto trapanese è un piatto molto famoso. Su internet esiste una letteratura incredibile. Molte ricette sono “personalizzate” a seconda dello chef o dalla regionalità ma, la dicitura pesto trapanese, rimane.”
Se da un lato, la ricetta fa il giro del mondo rimbalzando da un sito all’altro, dall’altro finisce per perdere autenticità. Gli errori più grossolani? Usare il frullatore al posto del mortaio o aggiungere (sulla scia del pesto alla genovese), del formaggio!
Provate a cercare le origini storiche del pesto trapanese. Per Wikipedia, ad esempio, si tratta di “un piatto antico nato nel porto di Trapani dove un tempo si fermavano le navi genovesi provenienti dall’Oriente, che portarono la tradizione dell’agliata ligure, a base d’aglio e noci, che fu dai marinai trapanesi elaborato con i prodotti della loro terra, il pomodoro e le mandorle”.
Niente di più sbagliato. Lo spiega bene, l’autore Paolo Salerno che dice:” Questo libro è dedicato alla salsa cruda di più antica memoria del nostro territorio: il pesto alla trapanese, oggi secondo per notorietà soltanto a quello genovese e rispetto al quale ha radici autonome. In Sicilia, si pestavano prodotti già al tempo dei Fenici (a Mozia sono state ritrovate tracce di mortaio). Poi, così come nel resto d’Italia, anche qui ritroviamo la tradizione dell’agliata ovvero, sapori diversi pestati con l’aglio (considerato un medicamento nell’antichità) che ha origini lontanissime. Parliamo insomma di cultura contadina, di un cibo povero che nulla ha a che fare con il mare, con l’aspetto che lega la città al suo porto e all’attività dei pescatori (a differenza del couscous).”
Solo a metà del ‘700 questo condimento a base di aglio e basilico, è stato ingentilito dal pomodoro. Accompagnava il pane duro che i contadini portavano nelle campagne, veniva utilizzato per condire carni, pesce e soprattutto la pasta. Negli anni Sessanta, con l’incremento dei flussi turistici nel trapanese, questo piatto entra nei menu della ristorazione locale. Per comunicarla al meglio, venne utilizzata la parola “pesto”, una salsa grezza associata alla specificità territoriale. Nasce così la denominazione di pesto alla trapanese che accoglie un nuovo ingrediente: la mandorla. Se volete cimentarvi nella preparazione autentica, vi servirà: aglio rosso di Nubia, pomodoro pizzutello, olio evo trapanese, mandorle siciliane di qualità. Immancabile l’abbinamento con i vini quali Nero d’Avola, Grillo, Sirah, Chardonnay, pensati dall’autore della monografia anche rispetto al pubblico di lettori non solo siciliano ma anche internazionale.
Scritto in italiano e in inglese, il libro racconta il pesto trapanese attraverso note storiche, testimonianze, uno sguardo alla sua immagine nel mondo e un’attenzione particolare ai suoi neofiti, ai quali dedica la descrizione della ricetta – ingredienti, tecnica di esecuzione, varianti – corredata dall’illustrazione fotografica di tutte le fasi di realizzazione e da un video tutorial.
Insomma, l’intento di Salerno è quello di offrire a questo piatto l’unico ingrediente che gli manca: un’ampia diffusione scritta della sua ricetta tradizionale e, proprio un libro, a differenza di un sito web, è l’ideale per mettere dei punti fermi a questa storia ricca di cultura, sapori e storia siciliana. Oltre a rendere onore a un piatto identitario del territorio, l’obiettivo è quello di proteggerlo. “Negli ultimi tempi – conclude Salerno – divulgatori improvvisati sembrano aver preso di mira quest’innocente e indifesa pietanza che paga lo scotto, ad esempio, di non essere attestata in ricettari famosi. Non essendo stata decodificata, diventa così preda facile per chef o amanti della cucina i quali, proponendo piatti e video tutorial poco accurati, contribuiscono a diffondere fake ricette che, con il passare del tempo diventano “originali”, “come tradizione vuole”. Nessun limite alla creatività certo ma, in questi casi sarebbe comunque meglio sottolineare che si tratta di una ricetta ispirata a quella della tradizione, di una ricetta rivisitata in modo tale da non tradire l’identità di un territorio che si racconta nella propria, autentica, ricetta.”
Il libro verrà presentato venerdì 3 giugno 2022 alle ore 18,00 alla Casina delle Palme di Trapani