Tra i primati di crescita e gap strutturali, la Sicilia si trova alle prese con il proprio futuro. La nostra Isola registra infatti la crescita più forte rispetto alle altre regioni d’Italia, ma resta comunque penultima per PIL pro capite e allo stesso tempo inchiodata a divari sociali e occupazionali.
Questo è quanto viene fuori dai dati prendendo in considerazione il report 2025 di The European House-Ambrosetti la Sicilia.
Crescere, ma da dove partire?
Negli ultimi anni la Sicilia ha visto un’accelerazione che molti definirebbero sorprendente. Tra il 2019 e il 2023 l’isola ha registrato un aumento del PIL del +23,5%, rispetto a una media nazionale del circa 18,1%.
Ma la realtà del benessere è un’altra, il PIL pro capite della regione si attesta solo al 63% della media italiana, il che la colloca penultima tra le regioni italiane in questa classifica.
In sintesi possiamo dire che la crescita c’è, ma il punto da cui si cresce è basso. E questo rende il progresso più fragile.
La Sicilia sembra dunque correre da una colonna più arretrata, con un bagaglio strutturale fatto di arretratezza produttiva, infrastrutture meno efficaci, capitale umano che fatica a consolidarsi. Crescere in percentuale è un buon segnale. ma senza che la base si rafforzi, il divario rispetto al resto d’Italia rimane sostanziale.
Quali settori guidano la ripresa?
Il ‘ma’ è importante. Quali sono le fratture che restano?
In sintesi possiamo che dire che nella nostra terra si sta estendendo una crescita a due velocità. La Sicilia quest’anno vive una doppia dimensione.
Da una parte, c’è il volto dinamico dei distretti agroalimentari, dei poli energetici, delle start-up innovative cresciute del 15% in un solo anno.
Dall’altra, quello dei piccoli centri che si svuotano, delle famiglie che vivono con meno di mille euro al mese, dei giovani che cercano altrove ciò che qui non trovano.
Le opportunità si concentrano in poche aree urbane, mentre intere province restano ai margini. Il risultato è quindi una crescita diseguale, che non riesce a trasformarsi in sviluppo diffuso. Ci sono province in cui i servizi si riducono, la popolazione ‘ringiovanisce’ con difficoltà, e le opportunità restano nelle città costiere o nei poli più attrezzati. L’isola cresce, ma “a macchia”: alcune aree avanzano, altre restano ferme.
Questo è l’effetto siciliano, l’impulso del cambiamento convive con una geografia del ritardo, con vecchie debolezze che ancora tirano.
Una scena familiare? Una provincia interna che ha visto diminuire gli studenti, aumentare la mobilità verso la terraferma; un centro urbano costiero che attrae start-up, giovani, investimenti; famiglie che attendono stabilità mentre vedono crescere impieghi precari.
È una dinamica che, presa nella sua interezza, racconta il gap tra la crescita numerica e il benessere diffuso.
Un’Isola in sospeso
La spinta economica post-pandemica rischia di esaurirsi insieme ai fondi pubblici che l’hanno alimentata. Molti analisti, infatti, temono un “effetto PNRR” a termine, dove i progetti finiscono prima di generare un vero cambiamento strutturale.
Senza un piano di lungo periodo, la crescita rischia di essere un’illusione temporanea, non una rinascita stabile.
Eppure, tra le pieghe di questa complessità, si muovono energie nuove, cooperative agricole, progetti di economia circolare, iniziative culturali e di rigenerazione urbana che nascono dal basso.
Sono piccoli segnali, ma indicano una volontà diffusa di cambiare le cose, di trasformare la crescita in futuro.
In Sicilia, l’identità è fatta di bellezza naturale, cultura millenaria, turismo, agricoltura, ma anche di ritardi infrastrutturali, isolamento dei territori interni, tradizioni che a volte pesano come zavorre nello sguardo verso il futuro.
Quali leve per trasformare la crescita in sviluppo?
Lo sviluppo non è automatico, servono politiche, investimenti e visione che guardino oltre i numeri. Alcune leve emergono chiaramente dallo studio e dall’analisi.
Il primis, capitalizzare i settori strategici. Quindi le filiere del mare, agroalimentare, ICT/meccatronica sono opportunità reali. Ma per diventare volano duraturo bisogna costruire catene di valore solide, investire in ricerca e innovazione, integrare formazione e industria. La Sicilia ha già preso la battuta giusta, ma ora serve accelerare.
Poi, rafforzare il capitale umano. La partecipazione dei giovani e delle donne al lavoro, l’elevazione delle competenze ,specialmente nei settori green e digitali, sono essenziali. Ad esempio, l’analisi di Ambrosetti segnala che per il settore smart building in Italia esistono potenzialmente 200.000 posti di lavoro qualificati, ma le imprese non trovano i profili adeguati. Colmare questi gap significa costruire un tessuto sociale produttivo e innovativo.
Ancora, ridurre le disuguaglianze territoriali. Le città costiere e i bassi numeri sono attrattivi, ma i territori interni, le aree montane, le zone isolate rischiano di restare escluse. Per lo sviluppo diffuso occorrono infrastrutture, servizi capaci di rendere ogni zona “abitabile” anche in chiave economica, non solo turistica.
Dare poi stabilità al lavoro. La crescita che resta fondata su occupazione stagionale o su lavori temporanei non produce benessere duraturo. Occorre lavoro stabile, contratti di qualità, valorizzazione dell’impresa locale. Solo così la ricchezza generata potrà diffondersi.
Infine, scommettere sul futuro demografico e ambientale. Un’Isola che perde abitanti perde anche mercato, capitale umano, identità economica. Il tema demografico è centrale. Allo stesso tempo, la Sicilia ha un forte potenziale nel campo delle energie rinnovabili e della transizione verde: ad esempio, il report segnala che l’isola si candida a hub energetico del Mediterraneo.
Verso un futuro possibile (ma non garantito)
Non si tratta di scegliere tra ottimismo e pessimismo, si tratta di riconoscere che la prospettiva esiste, ma non è scritta. La Sicilia ha la possibilità di diventare qualcosa di più di un’analisi di successo, un modello di sviluppo diverso dal Nord-centro tradizionale, più radicato, più umano, più attento. Ma questa possibilità dipende da decisioni politiche, economiche, sociali che non sono automatiche. I fondi europei, il PNRR, i cantieri possono dare spinta, ma se restano “una tantum” non bastano. Serve trasformare l’effetto crescita in struttura di sviluppo. Se la Sicilia riuscirà a farlo, quel +23,5% di PIL non sarà solo un numero virtuoso, ma il punto di partenza – non di arrivo. E quel 63% del PIL pro capite non sarà più la soglia da raggiungere, ma il riferimento superato.
La Sicilia cresce.E in questa crescita c’è la forza della rinascita, della speranza, della possibilità. Ma cresce con fragilità. Con un piede nel futuro e l’altro ancora poggiato su una storia di ritardi e marginalità. Il vero salto sarà quando la crescita diventerà inclusiva, quando non solo alcune aree, non solo alcuni settori, ma l’intera comunità potrà partecipare e diventare parte attiva del cambiamento.
Fino ad allora, l’isola continuerà ad avanzare, ma sempre con la consapevolezza che crescere non è abbastanza: bisogna restare, costruire, trasformare.



