Polibio, storico greco del II secolo a.C., elaborò la teoria dell’anaciclosi, il ciclo delle forme di governo che culmina nell’oclocrazia, il dominio incontrollato della folla. Un concetto antico che oggi, tra crisi democratiche, guerre e rivoluzioni digitali, appare sorprendentemente attuale.
Dalla Repubblica di Weimar agli shock economici degli anni Settanta, dalla fine della Guerra fredda all’11 settembre, fino alla polarizzazione tra Trump e Biden, le democrazie sembrano attraversare fasi di logoramento ciclico.

Nell’era dell’“oclocrazia digitale”, proteste globali e social network condizionano politica e istituzioni, mettendo a rischio l’equilibrio tra libertà, sicurezza e rappresentanza.
In questo primo articolo del ciclo dedicato a Polibio comprenderemo che non è solo un autore antico: è una bussola per orientarsi nelle tempeste contemporanee, per osservare con distacco le crisi globali e riflettere sul futuro delle istituzioni e della politica mondiale. Ogni protesta, ogni conflitto e ogni trasformazione sociale può essere interpretata come un segnale della dinamica ciclica,
Proteste, rivolte digitali, instabilità politica e polarizzazione sociale rappresentano la manifestazione concreta della degenerazione delle democrazie. Il mondo globale, dall’America divisa all’Europa in protesta, dall’Africa instabile all’Asia emergente, è il laboratorio in cui le idee di Polibio mostrano la loro vitalità e attualità.
Polibio e Roma: lezioni dal passato
Polibio, storico greco del II secolo a.C., guardava Roma con gli occhi di chi aveva visto un mondo antico cambiare volto. Catturato come ostaggio e condotto nell’Urbe dopo la sconfitta della sua città, Megalopoli, egli poté osservare dall’interno i meccanismi di quella potenza che stava estendendo i suoi confini ben oltre il Mediterraneo.
Nelle “Storie”, Polibio non si limita a elencare fatti: riflette, spiega, compara. È qui che introduce la sua teoria dell’“anaciclosi”, il ciclo delle forme di governo: monarchia, tirannide, aristocrazia, oligarchia, democrazia e infine oclocrazia, il dominio della folla, il disordine delle moltitudini. La sua visione non era un esercizio astratto: nasceva dall’osservazione diretta dei rischi che anche la grande Roma correva quando il popolo, travolto da passioni collettive, poteva imporre scelte irrazionali.

Un aneddoto delle Storie aiuta a comprendere la concretezza del suo pensiero. Raccontando la Seconda Guerra Punica, Polibio descrive l’angoscia di Roma dopo la disfatta di Canne (216 a.C.), quando Annibale aveva annientato le legioni. La città rischiava il panico: il popolo invocava soluzioni estreme, alcuni volevano arrendersi, altri chiedevano la dittatura. Fu la fermezza del Senato a impedire che l’“oclocrazia del terrore” si traducesse in catastrofe. Per Polibio, quel momento era prova che le istituzioni miste – l’equilibrio tra popolo, senato e magistrature – erano in grado di contenere le derive della massa. Ma non sempre la storia conferma la stabilità: egli avvertiva che col tempo ogni equilibrio si logora, e la folla può prevalere.
Quel ragionamento, elaborato oltre duemila anni fa, trova oggi una sorprendente attualità. Non perché le democrazie contemporanee siano identiche alla Roma repubblicana, ma perché i meccanismi della degenerazione – il potere collettivo che si trasforma in caos – sembrano ripetersi, mutatis mutandis, nei nostri scenari globali. Se Polibio descriveva la folla che gridava nel Foro, noi oggi potremmo evocare l’“oclocrazia digitale”, folle virtuali che, tramite social network, condizionano governi, economie e persino decisioni di guerra.
La lenta erosione delle democrazie nel XX secolo: i segni dell’anaciclosi
Il XX secolo ha conosciuto la fragilità delle democrazie sin dall’inizio con la Prima Guerra Mondiale dove le rivalità imperiali tra le potenze europee, un tempo aristocratiche, degenerarono in una competizione distruttiva per il potere, portando a un conflitto globale. Questo collasso dell’ordine preesistente, con la caduta degli imperi e l’instabilità politica, vide applicata la teoria di Polibio sulla inevitabile disintegrazione dei sistemi politici, spinti da vizi interni.

La crisi economica del 1929 esacerbò le tensioni, alimentando il nazionalismo e le rivalità tra potenze, un’ulteriore conferma della degenerazione dei sistemi. La debolezza delle istituzioni internazionali non riuscì a contenere l’aggressività delle nuove dittature, portando inesorabilmente a un nuovo e più devastante conflitto, la Seconda Guerra Mondiale. Questo ciclo di instabilità e conflitto incarna la visione di Polibio di un’ineluttabile spirale di degenerazione dei sistemi politici e dell’imposizione della forza e della violenza a livello globale.
Il secondo dopoguerra sembrò inaugurare una nuova fase di stabilità, ma le crisi ricorrenti mostrarono presto i limiti del sistema. Le superpotenze emergenti, Stati Uniti e Unione Sovietica, intrapresero la Guerra Fredda. Questa situazione di bipolarismo riflette la fase dell’anaciclosi in cui diverse forme di governo, in questo caso due ideologie opposte, si scontrano.
Gli anni ’50 e ’60 videro una instabilità apparente in cui, mentre l’Occidente viveva un’espansione economica, il rischio di un conflitto nucleare e le tensioni ideologiche (come la Guerra del Vietnam) minacciavano la stabilità globale, dimostrando come anche una forma di “democrazia” potesse essere vicina alla degenerazione per eccesso di potere e ambizione, richiamando il concetto polibiano di come anche i governi più stabili siano destinati a decadere.

Negli anni Settanta, lo shock petrolifero mise in ginocchio le economie occidentali: inflazione, disoccupazione, sfiducia nelle istituzioni. Anche qui, la pressione della “folla” – sindacati, movimenti, piazze – costrinse i governi a scelte emergenziali che spesso logorarono il tessuto democratico. È in questo periodo che si affacciarono fenomeni come il terrorismo politico, in Europa e altrove, segno di una radicalizzazione che nasceva dalla percezione che le istituzioni non rispondessero più ai bisogni collettivi.
La fine del XX secolo ha visto un’accelerazione di dinamiche che richiamano l’anaciclosi di Polibio. Gli anni ’80 sono stati caratterizzati da un forte contrasto: mentre la democrazia occidentale si rafforzava attraverso il neoliberismo economico, l’Unione Sovietica mostrava segni di profonda crisi.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 non fu solo la fine di un’era, ma la chiusura di un ciclo. L’ideologia comunista, nata come reazione alle disuguaglianze sociali, aveva degenerato in una forma di tirannia burocratica, incapace di soddisfare i bisogni dei cittadini. Questo crollo ha lasciato il posto a una momentanea egemonia democratica, ma anche a nuove fragilità.
L’espansione del neoliberismo, con la sua enfasi sulla privatizzazione e la deregulation, ha creato nuove forme di disuguaglianza, riproponendo la tendenza verso l’oligarchia, dove il potere economico si concentra nelle mani di pochi. La storia continua a muoversi in cicli, con le democrazie moderne che affrontano la sfida di non degenerare in nuove forme di potere centralizzato o ingiustizia sociale.
Il 1989 e la fine della Guerra fredda, sembrò aprire una nuova era di liberal-democrazia globale. Ma anche qui, Polibio avrebbe forse ammonito: la vittoria assoluta di un modello è spesso l’inizio della sua fragilità. Senza un nemico esterno, senza contrappesi, le democrazie occidentali si adagiarono, mentre nuovi attori – potenze emergenti, economie asiatiche, nazionalismi risorgenti – minavano l’illusione del “nuovo ordine mondiale”.
La “fine della storia”, teorizzata dallo studioso Francis Fukuyama, che sosteneva che la vittoria della democrazia liberale occidentale segnasse il culmine dell’evoluzione politica fallì perché il mondo non smise di evolvere. Nuove dinamiche ed eventi nel XXI secolo dimostreranno che il ciclo della storia non si era affatto interrotto, confermando in un certo senso la visione di Polibio.
Il XXI secolo: olocrazia della “paura”, oligarchie finanziarie e tirannia “moderna”
Il XXI secolo è quello che fornisce una ricca, e talvolta inquietante, conferma e correlazione della teoria dell’anaciclosi di Polibio. La fase iniziale del secolo è stata segnata da una crescente oclocrazia, il governo della folla, dove il potere politico si è spostato dall’autorità costituita all’opinione pubblica, spesso manipolata da demagoghi attraverso i nuovi media.
L’11 settembre 2001 segnò un punto di svolta: il terrorismo globale con l’attacco alle Torri Gemelle di New York impose nuovi vincoli alle democrazie, aumentando il controllo statale e accentuando polarizzazioni interne. Non furono solo un attacco agli Stati Uniti, ma un colpo simbolico al cuore stesso del sistema globale.

La risposta – guerre in Afghanistan e Iraq, il Patriot Act, l’erosione delle libertà in nome della sicurezza – rivelò quanto la democrazia fosse vulnerabile all’“oclocrazia della paura”. Le piazze, allora, non protestavano per maggiore libertà, ma chiedevano protezione, anche a costo di restringere i propri diritti. Un altro aneddoto di Polibio torna utile: nel raccontare la rivolta dei mercenari cartaginesi, lo storico mostra come il terrore collettivo porti a scelte brutali e poco razionali, decisioni che poi si pagano a lungo termine. Così accadde anche dopo l’11 settembre.
I conflitti successivi in Medio Oriente, in particolare Iraq, Afghanistan e Siria, dimostrarono come guerre lontane potessero influenzare direttamente opinioni pubbliche, istituzioni e leadership politica in Occidente.
La crisi finanziaria del 2008, poi, accentuò il malessere sociale e generò nuove forme di protesta, alimentando populismi e sfiducia nelle istituzioni tradizionali. Nata da una profonda corruzione e una deregulation del settore finanziario, ha mostrato come l’oligarchia del potere economico e finanziario abbia agito per il proprio tornaconto, senza controllo, scatenando una crisi globale che ha minato la fiducia nelle istituzioni. La conseguente recessione ha generato un malcontento diffuso e un senso di impotenza tra i cittadini.

Questa disillusione ha alimentato l’ascesa dei populismi a livello globale. Leader che promettevano soluzioni semplici a problemi complessi hanno guadagnato consensi, spesso demonizzando le élite e le istituzioni democratiche. Questo ritorno a una sorta di tirannia, basata su figure carismatiche e una relazione diretta con “il popolo”, bypassando i corpi intermedi della democrazia, è un’altra manifestazione del ciclo polibiano.
La globalizzazione, con le sue disuguaglianze economiche e la perdita di sovranità, ha ulteriormente accelerato questo processo.
E arriviamo agli anni più recenti. Negli Stati Uniti, la polarizzazione politica ha portato alla sfida tra Joe Biden e Donald Trump, due figure agli antipodi ma entrambe simbolo di un sistema in difficoltà. La democrazia americana appare stremata: da un lato un ex presidente che non riconosce la sconfitta elettorale, dall’altro un establishment che fatica a proporre un ricambio generazionale. È la degenerazione di cui parlava Polibio: quando il meccanismo istituzionale non riesce più a rappresentare la pluralità, la folla si radicalizza, e l’“oclocrazia digitale” – dai tweet ai post virali – diventa il vero campo di battaglia.

Il fenomeno non riguarda solo l’America. In Europa, proteste e movimenti di piazza si moltiplicano. Le manifestazioni per l’Ucraina hanno mostrato un continente diviso tra sostegno militare, voglia di pace e paura dell’escalation. Quelle per Gaza hanno rivelato fratture interne, identitarie, culturali, tra chi invoca solidarietà ai palestinesi e chi teme derive antisemitiche.
In entrambi i casi, la pressione delle piazze – reali e digitali – condiziona pesantemente le scelte dei governi, talvolta più delle diplomazie ufficiali. Qui si inserisce un altro richiamo polibiano: la massa, guidata dall’emozione del momento, non sempre distingue tra interesse immediato e visione di lungo periodo.
La crisi è globale. In Asia, la “rivolta della Generazione Z” in Nepal ha dimostrato come misure economiche e politiche possano scatenare mobilitazioni giovanili globalizzate. Le proteste digitali e le campagne online hanno amplificato la voce delle masse, influenzando decisioni politiche in modo rapido e spesso incontrollabile. L’India, con le tensioni religiose e politiche interne, e la Cina, con il controllo sulle proteste e la gestione delle minoranze, mostrano come forme diverse di autoritarismo reagiscano a queste pressioni popolari.
Anche l’Africa occidentale è teatro di crisi ricorrenti: colpi di Stato in Mali, Niger e Burkina Faso dimostrano che fragilità istituzionali e corruzione generano instabilità ciclica, con nuovi governi che emergono spesso più deboli o più centralizzati. L’analisi polibiana offre una chiave per leggere queste trasformazioni: le masse, mosse dall’urgenza e dalla frustrazione, diventano protagoniste di cicli che mutano regimi e poteri locali.
L’ONU, nato come garante del diritto internazionale, fatica a mantenere un ruolo credibile: le risoluzioni si moltiplicano, ma i conflitti restano, segno che l’ordine globale rischia di scivolare verso un’anarchia di interessi contrapposti.
La crisi della Società delle Nazioni e le attuali difficoltà dell’ONU possono essere lette attraverso la lente dell’anaciclosi di Polibio. Entrambe le istituzioni nacquero dall’ideale di una “aristocrazia” di nazioni unite per la pace. Tuttavia, questo ideale è degenerato a causa dei vizi del potere.
La Società delle Nazioni fallì perché i singoli Stati agirono per i propri interessi egoistici, paralizzando l’organismo in una sorta di oligarchia di fatto. Oggi, l’ONU affronta una sfida simile: il diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza crea una moderna oligarchia che, anteponendo gli interessi nazionali a quelli collettivi, impedisce un’azione efficace. Così, il ciclo di corruzione e paralisi, descritto da Polibio, si ripete.
La sfida alla supremazia americana e occidentale da parte di Cina, i paesi Brics e il “Sud globale” rappresenta l’ultima accelerazione geopolitica e un’ulteriore, moderna, manifestazione dell’anaciclosi di Polibio.. L’egemonia unipolare statunitense e l’eccesso di potere e la percezione di un ordine “democrazia-centrico” hanno generato malcontento e insofferenza in altre aree del mondo e la Guerra in Ucraina (come detonatore geopolitico) hanno dato ulteriore spinta verso un mondo multipolare, rappresentando la reazione a questa egemonia.
Si tratta di una nuova forma di “aristocrazia” o “oligarchia” di potenze emergenti che si coalizzano per sfidare l’ordine esistente. La loro ricerca di alternative finanziarie e politiche, come la de-dollarizzazione, riflette la degenerazione dell’ordine preesistente e l’avvio di un nuovo ciclo di equilibri di potere, dove la competizione tra blocchi sostituisce il primato di una singola potenza.
Polibio sosteneva che i sistemi, una volta giunti al culmine, sono destinati a indebolirsi e cedere il passo a nuove forme di organizzazione del potere, un processo che sembra rispecchiarsi perfettamente nel contesto geopolitico attuale.
La nuova variabile nei cicli di potere: social e intelligenza artificiale, la “voce delle masse”
C’è un elemento nuovo, però, che Polibio non poteva prevedere: il ruolo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale. I social media hanno trasformato le masse in attori politici immediati. La piazza digitale amplifica emozioni, polarizzazioni, mobilitazioni improvvise.
È una nuova forma di oclocrazia, dove il potere dell’opinione pubblica si esercita in tempo reale, condizionando leader e governi. L’intelligenza artificiale, a sua volta, sta entrando nel processo decisionale, nella manipolazione dell’informazione, nella gestione della sicurezza. È una rivoluzione che modifica le stesse regole del gioco, creando nuove possibilità ma anche nuovi rischi.
In Nepal, le recenti proteste mostrano come il malcontento popolare possa incendiare interi sistemi politici. In Europa, le piazze si riempiono per la guerra in Ucraina o per Gaza, segnalando che i cittadini non accettano più passivamente le scelte dei governi. In Medio Oriente, l’opinione pubblica regionale spinge i leader a posizioni sempre più radicali.
Tutti questi fenomeni hanno un tratto comune: la voce delle masse, amplificata dalle tecnologie, diventa forza politica diretta, spesso incontrollabile.
Siamo dunque nell’età dell’oclocrazia? Molti segnali lo indicano
La perdita di fiducia nelle istituzioni, la polarizzazione estrema, la centralità della piazza reale o digitale, la difficoltà dei governi a prendere decisioni di lungo periodo, la crisi delle organizzazioni multilaterali, tutto porta in quella direzione. Ma lo stesso Polibio ci ricorderebbe che i cicli non sono mai lineari: ogni crisi apre la possibilità di un nuovo equilibrio.
Roma seppe trasformare le sue sconfitte in vittorie, integrare popoli diversi, punire i leader corrotti, contenere le folle disordinate. Forse anche oggi, nella frammentazione globale, si aprono spazi per un nuovo patto politico, per istituzioni capaci di affrontare sfide comuni. L’anaciclosi non è un destino cieco: è un avvertimento.
Ci ricorda che nessuna forma di governo dura per sempre, ma che la consapevolezza storica può aiutare a prevenire la degenerazione.
Il presente somiglia in modo sorprendente al mondo che Polibio descriveva: un impero all’apice del suo potere, ma già minato da profonde divisioni interne, paure, caos diffuso nelle “province” e tensioni crescenti. La sua lezione non ci invita al pessimismo fatalista, ma ci spinge alla vigilanza. Polibio ci insegna che ogni volta che la politica si asservisce agli interessi personali, ogni volta che le masse cedono alla manipolazione e le istituzioni si paralizzano, il ciclo storico si avvicina inesorabilmente alla sua fase di crisi.

Ma il suo monito non è “la fine della storia”; è piuttosto un avvertimento. Polibio ci mostra che è sempre possibile reagire, reinventare l’equilibrio e costruire nuove forme di convivenza.
Oggi, come allora, la partita è aperta. Le dinamiche in continuo mutamento sono imprevedibili, ma il futuro non è scritto e se il ciclo si concluderà in una crisi profonda dominate da altre guerre e uso sistematico della forza o, se sapremo trovare la forza per un nuovo inizio per riscrivere nel dialogo, la pace e nel commercio un nuovo ordine globale multipolare.
Sta a noi come società, oggi, evitare che quel ciclo si ripeta ancora una volta.