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Domenica 12 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sui 5 quesiti dei referendum in materia di giustizia ammessi dalla Corte Costituzionale. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23. Si tratta di referendum abrogativi e, dunque, si chiede agli elettori se vogliono o no abolire una legge o un atto avente valore di legge.
E in occasione dell’imminente voto per i quesiti referendari, l’Unione degli Ordini Forensi della Sicilia, presieduta dall’avvocato Giuseppe Di Stefano, in rappresentanza dei 24.000 avvocati isolani, ha indetto una riunione all’Assemblea Regionale Siciliana su sollecitazione di tutti i rappresentanti istituzionali della classe forense della Regione.
Qui l’Avvocatura Siciliana ha ribadito con forza le ragioni del SI. Le istituzioni della classe forense siciliana ritengono che “i quesiti referendari investano temi fondamentali per la nostra vita quotidiana avendo refluenza immediata e diretta sui più ampi e delicati concetti di democrazia e di libertà, principi cardine della nostra Società – sottolinea l’avvocato Giuseppe Di Stefano, presidente dell’Unione degli Ordini Forensi della Sicilia – Invito tutti i cittadini siciliani di andare a votare si. Con questo referendum si intende tutelare il giusto processo, il diritto di difesa, votare si significa votare a tutela della nostra Costituzione”.
Importante il quesito referendario che prevede la separazione delle carriere, tra giudici e pm: “separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati”. Cavallo di battaglia dell’Avvocatura, “Ci devono essere necessariamente due entità diverse, il Pm e il giudice – spiega l’avvocato Di Stefano – . Attualmente si può svolgere la funzione di Pm e il giorno dopo essere giudice, e questo non va bene. Nel giusto processo ci deve essere un giudice terzo, imparziale, con una pubblica accusa diversa dal giudice, deve essere l’avvocato difensore che, in una situazione di parità, si incontra e si scontra con in Pm in una dialettica processuale”. Dunque, co tale quesito si punta ad abrogare le norme che permettono ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, e viceversa. I primi corrispondono ai pubblici ministeri, quindi coloro che rappresentano l’accusa, mentre i secondi svolgono la funzione di giudice. I magistrati anche nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, cambiando da giudice a pm, per un numero massimo di quattro volte.
Alla riunione hanno partecipato i 16 Presidenti dei Consigli degli Ordini della Sicilia (o loro delegati) nonché i rappresentanti siciliani al Consiglio Nazionale Forense, alla Cassa Nazionale ed all’Organismo Congressuale Forense.
Incandidabilità in caso di condanna
Il primo quesito chiede ai cittadini se vogliono cancellare la Legge Severino, quella cioè che prevede l’incandidabilità e la decadenza automatica per parlamentari e membri del governo, nel caso di condanna definitiva per reati gravi contro la pubblica amministrazione, e fissa un regime rigido anche per gli amministratori locali che decadono dal loro ruolo anche in caso di condanna di primo grado (quindi non definitiva). Con la vittoria del sì tornerebbe in vigore la legge precedente che prevede l’interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria decisa dal giudice ma non dunque automatica come invece precede la legge Severino.
Limitazione misure cautelari
Il secondo referendum, “limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale”, limita i casi in cui possono essere inflitte misure cautelari, e in particolare la carcerazione preventiva, abrogando l’ipotesi di pericolo di reiterazione dello stesso reato. In pratica l’articolo 274 del codice di procedura penale elenca i casi che giustificano l’applicazione delle misure cautelari: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, o il pericolo che la persona “commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede”, cioè appunto quando si ravvisa il pericolo di reiterazione dello stesso reato.
Valutazione dei magistrati
Questo quesito referendario, “partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte”, introdurrebbe il voto degli avvocati e dei professori universitari nei consigli giudiziari, anche per le valutazioni di professionalità dei magistrati. In pratica ogni quattro anni i magistrati ricevono una valutazione sul loro lavoro, espressa con tre possibili giudizi: ‘positiva’, ‘non positiva’ e ‘negativa’.
Elezione membri togati del Csm
Quest’ultimo quesito referendario, “abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura”, tocca le norme che regolano l’elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, e prevede la cancellazione della norma che stabilisce che ogni candidatura per il Csm debba essere sostenuta dalle firme di almeno 25 presentatori (con un massimo di 50). L’obiettivo è porre fine al sistema delle ‘correnti’ nella magistratura: se vincesse il ‘Sì’ ogni magistrato potrebbe presentare la propria candidatura in autonomia, senza necessariamente cercare l’appoggio di altri magistrati.